Alla parola futuro, anche le trattazioni più solide si frammentano, diventano riflessive e interrogative. Quattro esempi di questa ricerca incessante nel presente e nel passato delle città, che ne chiama in gioco l’avvenire
C’è un tema davanti al quale, per ragioni piuttosto intuibili, anche la più solida volontà di scrivere il libro della città, unitario quanto vasto, si ferma e lascia spazio alla frammentarietà delle riflessioni: il futuro. Certo, un libro che si intitola Futuro lo si può comprare: è stato scritto una decina di anni fa da Marc Augé, lo pubblica Bollati Boringhieri, ed è una trattazione curiosamente unitaria. Ma resta, per l’appunto, un’eccezione.
Altri quattro recenti libri sulla città - qui la prima serie - ci presentano altrettante sfumature nell’interpretare uno stesso approccio, la sequenza di riflessioni sullo stato del presente con la finalità (se non la conclusione, come in uno dei casi) di proiettare il pensiero sulla città del futuro, guardato dal fondo di un lungo Novecento, o dalle stanze pensose del primo lockdown.
Il futuro è un viaggio nel passato
“Lontano da un presente globalizzato, queste 10 tappe vogliono essere il racconto di uno straordinario rapporto di empatia con l'ambiente, dell'uso razionale delle risorse naturali e delle capacità creative nel costruire il nostro habitat”. Mario Cucinella, architetto che ha legato il suo nome al concetto di sostenibilità dei processi e delle costruzioni a livello internazionale, ci pone davanti alla crisi dei nostri modelli insediativi improntati all'abuso del pianeta, e guarda alle alternative possibili. Nel farlo, aggiunge un capitolo alla tradizione di lavori come Architecture without architects di Bernard Rudofsky: un viaggio intercontinentale alla scoperta di architetture spontanee, modalità spontanee, inedite, di armonizzare vita degli umani e funzionamento del pianeta, dai giardini tropicali spontaneizzati in Irlanda agli edifici in negativo dei pozzi a scale indiani, passando per le case del ghiaccio dei deserti della Persia.