È delicatissima e proterva. È inafferrabile come un riflesso sull'acqua che sfiorato con un dito si scompiglia. Per questo tutta l'VIII ginnasiale dell'imperial regio liceo Dante di Trieste se ne innamora perdutamente. Forse anche qualche “professore con tanto di barba e figli”, come nelle ultime righe di “Un anno di scuola” (Quodlibet, pagg. 98, euro 12) Giani Stuparich mette in bocca a
un personaggio secondario. “Mi vuoi sposare, Neranz?” “Io sposar te, prima m'impicco!” dice la volpe all'uva e passeggiando per il Corso insiste con i conoscenti: “E lei li aveva passati
tutti, capace di averne quattro o cinque per volta; una vera cocotte monella”. Se la ragazza, ottenuta la licenza liceale se n'è andata per la sua strada, l'unico modo per trattenerla in spirito è
non stancarsi mai di parlarne, e magari volgere la delusione in goliardata, alla triestina. Il
dardo che lo ha trafitto è svelato da questa malignità di Neranz volta a degradare l'oggetto
del desiderio: Edda Marty nella finzione, Maria Prebil nella vita. L'unica in città a presentarsi al puntiglioso esame d'ingresso quando l'Austria permise alle donne di iscriversi all'università, purché avessero frequentato l'ultimo anno di scuola, tra i banchi con i maschi. Presenza reale, registrata nell'annuario del liceo Dante: Maria Prebil risulta aver superato l'esame di licenza con lode nell'anno 1909-10. Insieme con Stuparich – che in seguito per 23 anni insegnerà lettere nel medesimo Liceo – segnato indelebilmente da questo primo amore, romantico e per ciò stesso definitivo, capace di riaccendersi attraverso le pagine che la vera letteratura sola sa immortalare.
Gare di pattinaggio, lotte senza risparmio a colpi di palle di neve che lasciano Edda “arruffata, luminosa, ansante” e i compagni ammaliati, tra la tavolozza blu di mare e cielo. Camminate, stavolta intime, al tramonto per la collina di San Vito, sul pendio che guarda verso i
cantieri e il golfo di Muggia. Per le campagne dandosi convegno a qualche stazione del tram
ai margini della città, percossi dal vento come i danteschi Paolo e Francesca... E poi baci, baci,
baci, una sete febbrile di baci, quando Antero, l'alter ego di Stuparich, si stupisce corrisposto.
L'introverso Antero che non conosce la spensieratezza e si brucia al fuoco di quell'amore
che sente irreparabile, incapace di governarlo, in contrasto con Edda, determinata a non soccombervi. Edda si affaccia alla vita come usa fare dalla finestra la sera: accendendosi una sigaretta, per sé, senza ostentazione. Sogna libertà anche nell'abbigliamento, aspira ai pantaloni,
ai capelli corti che la confondano tra la folla per mostrare il suo io privo di orpelli. Indipendente, impavida, agitata da pensieri tumultuosi persegue il suo futuro. Rifugge la casa di bambola in agguato che fa scattare le porte dietro il sesso femminile. Cammina con passo “ostentatamente da uomo” e il cameratismo nei confronti dei compagni li soggioga più delle civetterie attese da una donna.
Lei è diversa, ha impresso nella mente il monito della sorella maggiore, che morirà precocemente di tisi, Hedwig: “Non fidarti del mondo, e soprattutto non fidarti mai degli uomini. Ti cercheranno perché hai una coscienza libera; ma appena potranno, essi ti torranno la tua libertà”. Da dove Edda ha imparato questa lezione di libertà? È perché, boema per parte di madre, e proveniente dalla capitale dell'impero Austro-Ungarico smania in un'asfittica città di provincia? Perché le parigine hanno appena sostituito il busto con il reggiseno e Marie Curie sta per conquistare il suo secondo Nobel? O perché le è giunta l'eco del Manifesto futurista di Marinetti che aspira a uccidere il chiaro di luna? Non è l'unica cosa che vuole sacrificare l'intellettuale che glorifica la guerra come sola
igiene del mondo, seminando di istanze patriottiche il terreno fertile dell'irredentismo che permeò gli italiani di confine ribelli alla dominazione straniera.
E in effetti sul piano biografico realmente vissuto, il personaggio di Pasini ricalca quello di
Alberto Spaini, futuro saggista e traduttore di Kafka, Antero-Giani Stuparich graviterà
nell'ambiente vociano del tempo, e Mitis-Ruggero Timeus diverrà un capofila dell'irredentismo. Come il fratello minore di Giani, Carlo Stuparich, e Scipio Slataper suo amico per la
pelle, costoro sarebbero morti partecipando a operazioni militari nel corso della Grande
Guerra. Giani, segnato per sempre dai lutti e insignito della Medaglia d'oro al valor militare,
dedicherà la sua esistenza a trasmettere a scuola e nelle sue opere i valori di umanità, umiltà,
dirittura morale e rispetto.
“Un anno di scuola” condensa in sé interi annidi amore e morte. Pasini/Spaini, il quale nella vita come nella finzione narrativa si spara al cuore per la straordinaria ragazza, e senza volerlo induce a far rinsavire Antero e Edda. Finalmente riconoscono l'equivoco: due poli dello stesso segno sono inconciliabili. L'idillio coronato dal matrimonio non garantirebbe a nessuno dei due di perseguire le proprie scelte. Questo il primo straziante esame esistenziale che si trovano ad affrontare, mentre quello scolastico che suggella il racconto li separa in due diverse città europee.
Come Giani seguirà la sua vocazione letteraria iscrivendosi a Filologia moderna a Praga,
così Maria Prebil sceglie Medicina a Vienna, divenendo poi un affermato pediatra, primario
di malattie infettive all'ospedale Agostino Bassi di Milano. La vita, come il racconto, segue
strade che a posteriori sembrano tracciate, eppure sono imperscrutabili. L'unico fatto lampante è che non si torna indietro.
L'anticonformista Maria “non volle più saperne di un amico che l'aveva tradita, sfigurandola in ʹUn anno di scuolaʹ”, ebbe a sospettare Stuparich in un suo scritto quando lei respinse al mittente, alcuni decenni dopo, una sua “affettuosissima lettera”. O magari Maria con il diniego ribadiva il passato, il voler “essere semplicemente un compagno”? Oppure ancora una volta aveva capito più intensamente: quell'amore di cui Giani aveva ritratto il sublime era la cornice della perfetta fusione di due anime, e doveva restare incorrotto dal tempo.