Recensioni / Libri da leggere ad agosto scelti da Elle decor

Il volume edito da Quodlibet è incentrato su Gianni Pettena, documentando in ordine cronologico tutto il suo lavoro, o quasi, al quale si aggiunge un'ampia selezione dei testi da lui scritti tra il 1970 e il 2020. Pettena, tra i fondatori dell’architettura radicale fiorentina degli anni Sessanta e Settanta insieme con Archizoom, Remo Buti, 9999, Superstudio, UFO e Zziggurat, ha nei loro riguardi mantenuto sempre una posizione personale autonoma. Oltre a criticare il funzionalismo modernista, a frequentare il mondo dell'arte legato a quella stagione, si è distinto per la sua particolare visione progettuale. D'altra parte, anche in ambito internazionale è conosciuto come “l’anarchitetto”, - giocando semanticamente tra l’idea di non-architettura e quella di anarchia ed esprimendo, diversamente da anti-architetto, una condizione creatrice o un’arte di vivere più che uno stato di fatto. Pettena stesso crea quella definizione, usandola come titolo del libro scritto nel 1973 sul lavoro di ricerca, sugli incontri, i luoghi e gli avvenimenti per lui importanti di quegli anni. Nelle prime pagine del libro, la conversazione di Pino Brugellis e Alberto Salvadori con Pettena, delinea i tratti principali del percorso dell'architetto nato a Bolzano nel 1940. Come critico e docente Pettena scrive molto sul “radicale” e sulla necessità di ripensare i “fondamentali” dell’architettura, presenta per la prima volta in Italia il lavoro di architetti altrove ben noti come Richard Meier, Bob Venturi o Hans Hollein, oppure quello di giovani emergenti, che poi diverranno famosi, come Zaha Hadid, Rem Koolhaas o Nigel Coates, ha curato grandi rassegne sul design più sperimentale, in definitiva ha scelto il linguaggio dell’arte piuttosto che il progetto d’architettura, anche se è un aspetto forse non ancora indagato a sufficienza, si legge nel dialogo a tre. Quindi è la volta dell'importante esperienza negli Stati Uniti che rappresenta una svolta nella “maniera” di operare di Pettena e della frequentazione di (an)architetti come Buckminster Fuller o James Wines, attenti all’ecologia e alle periferie. Se in Italia il lavoro aveva anche intenti polemici, di ribellione a uno status quo non condivideva, a Minneapolis la forza della natura fu uno strumento per esprimere idee di architettura, di indagini sullo spazio e l’uso che di questo poteva essere fatto, idee che Pettena avevo cercato di fisicizzare anche in contesti diversi. Quindi l'attività di storico e critico dell'architettura e le opere dal 2000 in poi in cui la natura è protagonista. “Si tratta di un rapporto con l’ambiente, con il paesaggio, che si traduce spesso in progetti effimeri, reversibili, il cui valore è a volte solo documentario: un’architettura mentale che spesso si traduce in esperienza fisica, creando o rinnovando la necessità del rapporto con l’ambiente”, spiega Pettena. Più in generale l’unicità del suo lavoro, anche sul piano storico, consiste nel rifiuto dei codici e dei canoni consueti della progettazione, nella realizzazione di interventi temporanei e in una continua ricerca di alleanze con l’arte concettuale, il radical design austriaco, la land art e la musica sperimentale.