«Quando ho
letto il libro di Luigi Malerba, ho avvertito
qualcosa di familiare, l'eco
di L'armata Brancaleone e
delle commedie a sfondo medioevale nate sull'onda di
quel successo. Avevo in mente il sapore, la libertà con cui
Monicelli aveva rievocato
quell'epoca al di fuori di ogni
retorica epica e mi sono portato dietro quello spirito
spregiudicato, ma poi Brancaleone l'ho lasciato da parte. Ho scritto il copione cercando di penetrare nel mondo di Malerba, nelle sue geniali trovate di linguaggio —
un volgare arcaico misto a
un latino maccheronico - intrecciando con lui una sorta
di dialogo. D'altronde Monicelli ha raccontato che l'idea del Medioevo straccione, incasinato e contemporaneo di Brancaleone l'aveva pescata in Donne e soldati, un film diretto da Malerba
nel 1954».
Così Francesco Lagi, regista di Il Pataffio (pare significhi «pasticcio»), in concorso
a Locarno e in uscita nelle sale italiane il 18 agosto, che
nell'ambientazione e nell'incipit della storia richiama il
capolavoro monicelliano, e
per il resto va per la sua strada. Si comincia sul viaggio di
un corteo sgangherato, composto di soldati improvvisati, l'opportunistico curiale
Belcapo (Giorgio Tirabassi),
il fratacchione lussurioso Capuccio (un Alessandro Gassman memore degli accenti
grotteschi del padre Vittorio) al seguito del marconte
Berlocchio di Cagalanza (Lino Musella), stalliere assurto a nobiltà tramite nozze
con la tonda Bernarda (Viviana Cangiano). Berlocchio si
reca a prendere possesso del
feudo di Tripalle, dote della
sposa, che però si rivela essere un maniero diroccato nel
mezzo di una campagna abitata da un contado incolto
che langue di fame e non ha
nessuna intenzione di farsi
estorcere il poco che ha. Belocchio che all'inizio sembra
un tipo buffo e innocuo, rivela il suo lato oscuro di piccolo uomo che ambisce al potere senza avere la capacità di
gestirlo; Belcapo e Capuccio
sono i subalterni pronti a inchinarsi davanti a chi è al comando; il contadino Micone è il portavoce del popolo, che invitato al desco del
Marconte mangia, ovvero
si fa corrompere tradendo
le sue idee sociali; e secondo Valerio Mastandrea che
lo impersona da par suo «è
un po' quello che succede a
certi movimentisti di casa
nostra».
Sintetizzando il voluminoso romanzo, Lagi ne ha ripreso il fantasioso vocabolario e
l'immaginaria cornice, lavorando sui personaggi per renderli più vicini alla sua sensibilità, e anche alla sensibilità
dei tempi: «Il libro trasferisce
nel Medioevo le dinamiche
dell'attualità degli Anni '70
che non è più la nostra, io ho
cercato di fare altrettanto ma
rispecchiando l'oggi. Malerba è un po' più cattivo, più acceso, disinteressato alla dimensione psicologica. Per
esempio non prevede la malinconia, per esempio la sua
Bernarda è una donna orribile. Io l'ho resa candida, una figura pura, il punto di luce del
film. E anche il destino dei personaggi è differente... Micone nel libro insegna il socialismo e vince, sullo schermo insegna il socialismo e muore».
Il teatrino medieval-brechtiano inscenato in Il pataffio
mette nelle inadatte mani di
personaggi rudimentali una
situazione complessa — come
conciliare le esigenze comuni a fronte dello spettro della
fame e di un potere protervo? - e lascia il finale aperto
su una fuga verso l'ignoto.
Girato in Ciociaria facendo
di un vero castello in rovina
una favolistica scenografia;
attraversato dalle musiche
in bilico fra prebarocco, popolare e moderno di Stefano Bollani, che si intonano
perfettamente sulle atmosfere di questo Medioevo
ironicamente ricreato, il
film parte su toni comici e si
conclude in chiave amara,
come è tipico della grande
commedia all'italiana. Proferendo con naturalezza un
testo costruito su una lingua che svaria dal vernacolo al sentenzioso al tronfio,
gli attori (davvero ottimi)
conferiscono ai rispettivi
personaggi uno speciale carattere umano. In breve, Il
pataffio indica il possibile ritorno a una tradizione di
commedia raffinata, intelligente che non teme lo spunto farsesco e il tono scanzonato. «Questo film ne è un
esempio - dichiara Mastandrea - È una parabola sul potere che mi auguro resti nei
cinema fino alle elezioni, fornendo motivo di riflessione
allo spettatore. Lo dico spassionatamente, come uno
che sta sul viale del tramonto» In che senso? «Nel senso
che mi sono rotto...». Oddio,
speriamo che scherzi!