Recensioni / Il Medioevo di Mastandrea «Moderna favola politica»

Un medioevo fantasioso e scalcinato, dove l'arrivo in un piccolo borgo del Marconte Berlocchio (Lino Musella), venuto a reclamare con la moglie Bernarda (Viviana Cangiano) il feudo ricevuto dal suocero, innesca una lotta tra nobili improvvisati, soldati straccioni e contadini che non accettano soprusi. Uno scontro tra fame e lotta per un piccolo potere che suona quanto mai legata all'oggi. E quello che mette in scena Francesco Lagi nella tragicommedia Il pataffio, adattamento dell'omonimo romanzo di Luigi Malerba - edito da Quodlibet - che ha debuttato in prima mondiale come unico titolo italiano nel concorso principale dell'edizione numero 75 del Locarno Film Festival, con un'uscita in sala già fissata al 18 agosto con 01 Distribution. Nello straordinario cast del film (che ha la colonna sonora di Stefano Bollani), con Musella, ci sono, fra gli altri, Alessandro Gassmann nel ruolo di Frate Cappuccio, religioso dai sogni molto impuri; Valerio Mastandrea nei panni di Migone, contadino che si ribella alle intenzioni dei nuovi arrivati; Giorgio Tirabassi, Giovanni Ludeno, Vincenzo Nemolato, Daria Deflorian. «C'è tanta voglia di medioevo nella nostra società - sottolinea Valerio Mastandrea, parlando dell'attualità della storia -. Basti pensare a certe battaglie antiabortiste che sono tornate in auge». Impossibile non pensare, guardando Il pataffio - prodotto da Vivo film e Rai Cinema in associazione con Colorado - all'Armata Brancaleone: «Ho sentito subito l'eco di di un cinema a cui ho voluto bene, sia per il film di Monicelli che per altri venuti dopo, ma è stata solo una suggestione iniziale, poi l'ho lasciata da parte. Mi interessava più lo spirito di quei film, dove il genere degenerava». Anche Monicelli aveva un suo legame con lo scrittore: «Aveva infatti raccontato - aggiunge Lagi - di essersi ispirato proprio a un film codiretto da Malerba, Donne e soldati (1954), per il suo Medioevo in L'armata Brancaleone». Adattare il libro «era una sfida complicata. Ho cercato di fare mio il racconto, il suo mondo e la sua lingua, ma portandolo nell'oggi». Dopo aver visto per la prima volta Il pataffio, «ho detto a Francesco che lo considero un film alto - aggiunge Mastandrea -. E una fiaba politica che usa la trappola della commedia per attirare lo spettatore in un racconto di personaggi portati a un'aspirazione sociale bieca. Il protagonista rappresenta tantissimi di noi che cercano solo di arrivare a una posizione in cui garantirsi. E qualcosa che la pandemia ha ancora di più evidenziato». Il cinema italiano «ha bisogno di film così, di storie che usino il mezzo da un'angolazione non consueta. Spero rimarrà in sala fino alle elezioni perchè penso sia il più grande spot elettorale degli ultimi vent'anni - aggiunge sorridendo l'attore -. Mette le persone di fronte all'importanza e alle conseguenze della scelta che fai votando, o non votando». Il suo personaggio Migone, «paga l'essere tentato dal potere che vorrebbe corromperlo. Lui è la guida di una piccola comunità e sta lì la speranza di poter costruire un mondo diverso. E lo stesso discorso dei mini sindaci a Roma, che sono gli unici che funzionano». Migone «è come un amministratore di condominio che viene tentato dal palazzinaro... ma si pente subito. E un personaggio molto idealista, in un film che racconta come il potere logori chi ce l'ha».