La parola socialismo ha per
tanto tempo indicato la possibilità di cambiare il mondo, di
renderlo più uguale c più giusto,
rendendo tutti più liberi. II fallimento del socialismo "reale" l'ha
coinvolta, anche se ingiustamente. Trascinandosi appresso una
vicenda senz'altro più fortunata,
quella del socialismo democratico in Europa occidentale, applicato con discreti risultati da Atdee, Bevan, Brandi,
Palme e (perché no?)
da Pietro Nenni e molti altri ancora. Le macerie del Muro sono
cadute anche su quelle
esperienze e i loro credi si sono riconvertiti a
una variante lievemente edulcorata di quello
che é stato chiamato il
fondamentalisnao di
mercato. Il quale, però,
dopo aver imperversato per quattro decenni, pare avere raggiunto
il suo limite: quello della desertificazione sociale e ambientale. In
cerca di parole e idee nuove, il socialismo pula allora tornare in auge. Dalle catacombe propone di
estrarlo anche un libretto che supera di poco il centinaio di pagine opera di Rino Genovese, filosofo e militante appassionato il
quale fin dal titolo enuncia l'entità della sfida: come rendere possibile il socialismo utopico. Adottando iuta prospettiva normativa,
sebbene a partire da una considerazione realistica dello stato del
mondo, il libro risponde alla sfida fin dalle prime pagine, in cui
si restituisce il loro onore alle
esperienze della socialdemocrazia, dello stato sociale e dei diritti
sociali, distraesse con molta disinvoltura dai partiti ehe le avevano
promosse, vuoi perché alla spasmodica ricerca di successo elettorale, vuoi perché gli impegni
di governo ne avevano cambiato
i ceti dirigenti. Non erano esperienze perfette, avevano alleviato, ma non rimosso, le disuguaglianze e avevano pagato un alto
prezzo allo statalismo e alla burocrazia, ma avevano pur sempre
cambiato molte cose. Meritano di
essere sottratte tanto a un oblio
ingeneroso, quanto alle nostalgie
improduttive.
Al centro della riflessione c'è
un ossimoro: l-individuo sociale", alla luce dell'idea secondo
cui il socialismo è la "piena realizzazione dell'individuo moderno", ma che tale realizzazione è
possibile solo imprimendole una
piega sociale. Di strada le società
occidentali negli ultimi decenni
ne hanno fatta parecchia. Il fondamentalismo di mercato, peraltro sfruttando molte acquisizioni
del svelfare, ha suscitano una nuova forma di soggettività, ha ridisegnano l'individuo, imponendogli l'utopia dell'imprenditore di sé stesso, svincolato da ogni legame sociale. Quanto il modello è
attecchito non lo sappiamo: larghissimi segmenti di società non
sono riusciti a indossarlo. Ma per
quanto la pratica si sia dimostrata
recalcitrante, l'utopia ha prodotto i suoi effetti socialmente dolorosi, sicché adesso serve correre ai
ripari, purché a partire dalle cose
accadute nel frattempo. Ci sono
stati cambiamenti colossali. Sullo sfondo della globalizzazione
è venuto meno il proletariato di
fabbrica, insieme al movimento
operaio organizzato, leva del socialismo democratico del secondo dopoguerra. Come concepire
in tale assenza un nuovo disegno d'emancipazione all'insegna del
socialismo? L'impresa
è ardua. Genovese sottolinea l'esigenza di un
disegno non più confinato al inondo occidentale: troppe interdipendenze si sono
intrecciare tra tinte le
regioni del pianeta per
contentarsi di un disegno circoscritto, locale, ripiegato sui vecchi confini
dell'esperienza socialdemocrazia.
Uno dei tratti essenziali della
modernità occidentale è la difl'erenziazione sociale, forza motrice
anche della differenza individuale. Su di essa si è costruita la sociologia dalla fine del XiX secolo
e da allora costituisce un cruccio
di cui la politica non riesce a venire a capo. E con effetti disastrosi
per bilanciarla, le si sono opposti
contromovimenti olistici, magari
autoritari, come il socialismo reale. Il quale ha provato a sradicare
la dimensione acquisitiva dell'individualismo capitalistico attraverso forme di collertivizzazione forzata, coercitiva e regressiva.
L'individualismo non è un dato
di natura, come sostiene il liberalismo È una complessa costruzione storica, sociale e politica, è
una tecnica di governo. Nel perenne farsi e disfarsi della società, il suo inevitabile incontro con
l'alismo è sempre stato questione di dosaggi: il socialismo a venire dovrebbe offrire un dosaggio
diverso, da quello del socialismo
reale e da quello del socialismo
democratico, immaginando una
forma d'individualismo diverso,
non basata sui consumi, ma fondata piuttosto sull'inclusione e
sui diritti umani, sull'idea di una
convivenza plurale di respiro universale, svincolata da ogni pretesa
di dominio oltre i confini dell'occidente. I tempi impongono un
disegno alternativo non solo al
modo capitalistico di produrre e
consumare, ma pure alle culture
ancestral i spesso oppressive che
altrove convivono con la modernità importata dall'occidente, che
non si possono rimuovere tramite
un intervento occidentale dettato
da presupposti culturali diversi. Il tentativo non ha condotto
a nulla di buono. Occorre semmai immaginare un moto interno
di trasformazione e di contestuale ibridazione culturale multilaterale e soprattutto paritaria tra
l'occidente e tutto quanto occidente non è.
Non sarà agevole liberarsi dal
vissuto plurisecolare, violento e
tragico del colonialismo. La difficoltà a superare il passato, anzi
la sua propensione a riproporsi, è
storia di questi giorni. Il socialismo, nelle pagine di questo libro,
è una prospettiva di riconciliazione, di regolamentazione e pacificazione del conflitto, a iniziare dalla politica occidentale, che
ha introiettato, grazie al fotndamentalismo di mercato, una dose consistente di brutalità: materiale, economica e simbolica. Il
riconoscimento del pluralismo è
nel codice genetico dei moderni
regimi rappresentativi, ma è stato
sempre parziale e imperfetto: va
riproposto, col coraggio di attualizzarlo. Rino Genovese cita, con
buone ragioni, quell'altra idea di
governo costituita dalla consociarione altlmsiana in contrasto con
lo statalismo hobbesiano, che è
stata applicata in dosi ridotte, appunto dai regimi rappresentativi. Il federalismo, laddove Io s'intenda in chiave cooperativa e non
competitiva, coni'è d'uso da qualche decennio, che rivaluti i corpi
intermedi e l'autorganizzazione
del basso, è forse la formula idonea per rivedere la conformazione politica della postmodernità, finora incentrata sul mercato.
Non senza ripensare la tematica
dei diritti umani, aperta al confronto culturale: non tutti li intendono allo stesso modo e non
si può che prenderne atto per avviare un faticoso lavorio di comprensione reciproca.
Le recensioni non sono un surrogato della lettura dei libri. Sono
con invito a selezionarli e a leggerne alcuni. Questo libro si raccomanda alla lettura per la sua ricchezza d'idee e per il programma
di ricerca che delinea. in conclusione una domanda aperta (e
all'autore). Il socialismo dùntmz,
nella variante ridotta, ma pregevole, del "secolo socialdemocratico", aveva trovato impulso nella
società di classe e nel movimento operaio organizzato. Il capitalismo neoliberale ha disciolto la
prima, precarizzando il lavoro e
abbattendone la potenza politica.
Di quali armai dispone allora chi
aspiri a una società più rispettosa
della dignità umana di quella in
cui ci tocca vivere? Se guardiamo
ai rapporti di forzae agli equilibri
di potere, la partita è persa in partenza. Le resistenze che incontra
il capitalismo neoliberale sono tenaci, ma deboli e non sembrano
in grado al momento di profittare dei suoi fallimenti. Genovese
per quesito lo riguarda conta sulle
armi del diritto e della morale e
sulle loro reciproche interazioni.
Scrivendo questa sua perorazione
investe anche sulle idee, sulla teoria, sulla forza dell'utopia possibile, come la chiama lui, che pur irrealizzabile, destabilizza l'ordine
delle cose attuale e ne promuove
uno nuovo. Ha davvero ragione?
Chissà? Benvenuto è, in ogni caso, un libro che almeno ci prova.