Recensioni / Le avventure picaresche di Guglielmo Sputacchiera

C'è chi un mattino si sveglia scarafaggio, e la storia è piuttosto nota. E poi c'è chi si sveglia transessualizzato: «Un mattino d'agosto Guglielmo Sputacchiera si svegliò sprofondato in un bel paio di seni: i suoi. In otto ore di sonno si era trasformato in una donna, creatura a lui sconosciutissima, che in trent'anni di vita non era quasi mai riuscito ad avvicinare, non dico per le acrobazie pubiche, ma anche solo per le informazioni stradali». E questo il fulminante incipit del romanzo d'esordio di Alberto Ravasio, autore già illustratosi con alcuni contributi online, che ora, retrospettivamente, appaiono come le prove generali di questa narrazione più estesa, tra l'altro finalista al Premio Italo Calvino.
Stia alla larga da questo libro (che non a caso esce per la Compagnia Extra di Qiodlibet) chi vi cerca ricchezza di storie; se lo procuri senza indugio chi nella letteratura cerca (ancora e soprattutto) un'esperienza stilistica che gli ormai inamovibili neo-colonizzatori delle classifiche delle vendite possono solo velleitariamente promettere attraverso le scintillanti fascette promozionali. Non che la trama manchi, ma appare piuttosto esile e consiste nella fuga da casa di Sputacchiera dopo la scoperta di cui sopra (troppa è la paura di farsi scoprire dal padre), cui segue una serie di incontri con personaggi variamente strampalati (un medico, una psicologa, un santone) per tentare di riappropriarsi della virilità perduta. Un percorso intervallato da una corposa serie di segmenti analettici che ripercorrono l'esistenza del protagonista.
Guglielmo Sputacchiera, sin dal nome, appare come il rappresentante di una generazione fallita, la sfortunata «vittima dell'incidente genitale dei genitori, l'estrazione perdente della loro tombola cromosomica». Figlio di un padre (l'unico personaggio, significativamente, anonimo) «ammaccalamiere arricchito», dir al di fuori del lavoro è rimasto lo stesso di quando era entrato in fabbrica a quindici anni («calciomane, ipervirile e dunque naturalmente omofobo, tifoso della fica e di chi la castiga»), e di una madre le cui uniche due occupazioni sono «trattenere il piscio dallo stimolo al bagno e prendere le dieci pillole giornaliere prescritte dal dottore della testa», il protagonista cresce e vive in un «paesello stercoso» (nella Bergamasca), «museruolato dall'analfabetismo». Ai vari scacchi nelle relazioni e negli studi, con i docenti della facoltà di Filosofia che gli consigliano di darsi all'ippica, «possibilmente come equino», Sputacchiera reagisce regredendo nel mondo plastificato del Porno (sempre con la maiuscola) online, l'unico capace di restituire le certezze di un'esistenza in frantumi e, apparentemente, di soddisfare quei desideri da sempre irrealizzabili, in realtà costruiti ad arte da algorítmí che non fanno altro che sfruttare i dati di navigazione per proporre consigli personalizzati che cristallizzano l'ossessione e la dipendenza. Sta qui il punto focale. Quello di Ravasio è prima di tutto un libro sui desideri infranti di una generazione «colta ma disoccupata», e quindi dolorosamente lontana da padri «ignoranti ma indipendenti», coi quali è tuttavia possibile, se non una riconciliazione, perlomeno un confronto nella parte finale del romanzo, di cui avvero non si può rivelare nulla. Un conflitto che si gioca tutto sul binomio denaro-sesso: l'assenza di virilità del figlio come riflesso dell'incapacità di affrancarsi dalla dipendenza economica da un padre, lui sì, ben dotato. Come dire: pura materialità, e più Marx che Freud, come l'autore ha del resto riconosciuto.
Se il protagonista si rifugia nel Porno, l'autore esorcizza ima realtà destabilizzante attraverso la costruzione di un universo linguistico-letterario che permetta di riaffermare la centralità del soggetto nella sua capacità creativa, restituendogli le certezze perdute. Così si spiega l'ostentazione di alcuni topoi, come la fuga da casa del giovane che cerca il proprio posto nel mondo o la lettera al padre (ancora Kafka) che chiude il cerchio, essendo concettualmente il punto di partenza e strutturalmente il punto dí arrivo del libro. E a questa logica risponde l'impressionante paletta delle scelte linguistiche: dai neologismi per prefissazione («apenicos) o, più frequentemente, per suf fissazione («binladeniano», «vulvato», «ccssoides, «cricettsco», «LGBTniamente»), spesso negativizzante («parentume», «cibume»); alle invenzioni morfologiche («studentessos); fino alla creazione di sintagmi dalla finalità ironica, ottenuti attraverso la decostruzione di forme d'uso (Sputar clüera scelto dal proprio professore come «capra espiatoria»; Sputacchiera che ha come avvilente prospettiva professionale quella di lettore esterno per «capatine editrici») o attraverso l'invenzione di forme del tutto originali (il protagonista è un «vulvolatra acritico», «sentimentalmente invalido»). Per tacere delle iperboli grottesche («Dormì poco, s'addormentò alle dieci del mattino e si svegliò alle otto, sempre del mattino, per un totale di meno due ore di sonno»); degli elenchi dal sapore fantozziano (così gli abiti femminili che il protagonista ordina da internet «reggiseno imbottito con archetto, mutandine di pizzo, calze velate, abitino floreale in stile lolitescos); dei climax (il professoreal liceo interroga Sputacchiera «a sorpresa, nelle ore buche, nei corridoi, in bagno»).
Resta dietro l'angolo il pericolo che Ravasio si faccia prendere un po' la mano dalle proprie indiscutibili capacità espressive e che tutto si esaurisca nel fuoco d'artificio della perizia tecnica. Appuntamento, dunque, al secondo libro, e, soprattutto, al terzo, che è poi sempre il vero banco di prova per uno scrittore.

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