Recensioni / Il tempo lungo di atto versi moltiplicati per 300

Emilio Rentocchini ha raccolto tutte le sue ottave in volume e chissà se questa sarà davvero la volta buona, vale a dire l'ultima. L'ufficialità un po' testamentaria con cui vengono adesso presentate fa pensare di sì, ma il fatto che si tratti di un poeta vero, vale a dire autenticamente necessitato, fa presumere e anzi sperare di no. Qualche anno fa questo poeta che scrive nel dialetto nativo di Sassuolo aveva riunito le sue poesie nel volume Lingua madre. Ottave 1994-2014 (Incontri). Si trattava allora di 256 componimenti, a cui si sarebbero presto aggiunte le 44 ottave pubblicate nel 2019 da Book Editore. Con l'accorpamento di quest'ultime alle altre ne è risultata una raccolta di 300 ottave tonde tonde, che ripropone il titolo complessivo già acquisito ma con gli estremi cronologici aggiornati: Lingua madre. Ottave 1994- 2019 (Quodlibet).

Il volume è dedicato a Marco Santagata, l'italianista mancato due armi fa che con Alberto Bertoni e Giovanni Giudici è stato uno dei lettori più autorevoli dell'opera di Rentocchini. E proprio Giudici aveva subito evocato il cosiddetto sensous thought dei poeti metafisici del Seicento inglese: la capacità di commutazione reciproca tra percezioni e riflessione, tra sensibilità e concettualizzazione, per cui il pensiero stesso può essere sentito come un fatto fisico, concreto, addirittura sensuale. Ne dà prova anche la spiccata vocazione rnetapoetica del poeta di Sassuolo, che nei suoi versi cerca non solo di definire figure, eventi, occasioni della vita di ogni giorno (è una terra operaia e artigiana, una terra semplice e vera questa sua), ma di cogliere anche il pensiero, l'idea, la lingua e allora anzitutto la poesia nel suo stesso farsi. Il che è come dire che il discorso poetico – ed è il suo bello - cerca di prendersi la coda. E certo a una simile attitudine riflessiva concorre l'impiego isolato dell'ottava di Ariosto e dei poemi cavallereschi, che diventa qui un singolo fiato o goccia o balbettio sonoro che tende a chiudersi e rispecchiarsi in sé stesso, come se celebrasse, dentro e attraverso le sbarre della griglia metrica, la propria natura incondizionata (come in tutti i poeti metrici che si rispettino, allora, la clausura formale non è che l'altra faccia della libertà).
Rentocchini è un poeta camminatore e lunatico come pochi; un poeta della solitudine e, come si dice clei monaci. medievali, della continua ruminazione interiore. Dentro a una vita, la sua, che si vuole anch'essa ordinaria e schiva come poche, sembra che soltanto questo gli sia irrinunciabile: il silenzio e il tempo — e un tempo lungo, che procede a rilento tra continue rettifiche e approssimazioni necessari per pensare bene la vita, per metterla a fuoco il meglio possibile e, alla fine, anche in forma di parole. E uno scrittore verticale, non a caso, che procede per scavo e approfondimento (e anche la sua opera ha preso corpo come per un progressivo concrescimento). Se non che le ottave sembrano poi uscire immacolate da questo ron ron mentale, e con una freschezza, un che di brusco, che contraddicono il travaglio d'officina da cui sono partorite.
Sappiamo che la poesia tanto più è viva quanto più si nutre di tensioni e di contraddizioni. Quelle di Rentocchini andranno trovate anzitutto tra la dimensione popolare (il sassolese, con le sue parole, come «lingua degli avi», «materna» e dell'oralità, se non anche come «lingua atemporale, mitica») e quella letteraria (la nobile derivazione dell'ottava, ma ancor più il dialetto come lingua tutta poetica, che diventa al limite pura suggestione musicale, quasi lasciasse un passo indietro il proprio significato). O ancora il contrasto tra l'ottava come cortocircuito lirico isolato e la lunga collana delle ottave come organismo unitario, a metà tra canzoniere e poema. Ma poi, certo non ultima, la tensione tra l'«ottava vera», quella in dialetto, che la musa della poesia gli detta dentro (in rima), e la sua traduzione o versione italiana, metricamente più lassa e più esplicita dal punto di vista referenziale, ma non certo priva di una sua fortezza e qualità intrinseca. Si legga per credere.