Amato da una nicchia di fedeli
lettori, un'anca mitica avvolge
Learco Pignagnoli, scrittore e
personaggio che da decenni
fuma fulminanti opere brevi,
dove il comico incrina il pensiero, tramandate con complicità in letture pubbliche. Di lui si sa ben poco, se non che è
nato a Campogailiano e aSan Giovanni in
Persicelo e che «lavora presso la ditta
Scoppiahigi e Figli, dove tiene dietro al
loro lupo». 11 doppio luogo di nascita, un
po a Modena e un po' a Bologna, già ne
mette in crisi identità e autenticità, ma
per dirla con parole sue: «Chi se ne importa?».
Dall'esordio nel 1995 per Feltrinelli
nella rivista «Il semplice», che aveva tra i
suoi principali animatori Gianni Celati, ai
convegni che gli hanno dedicato negli
anni Zero con interventi tra gli altri di Ermanno Cavazzoni, Ugo Cornia, Paolo Nori, (Gino Ruozzi, Paolo Albani, alla prima
raccolta delle Opere complete di Learco
Pignangoli, apparsa per Aliberti nel
2006, l'autore è stato celebrato e pensato
dagli scrittori di certo inimitabile immaginario emiliano. Una nuova occasione
per conoscerlo e, si spera, per renderlo
più popolare, è l'uscita delle Opere complete di Learco Pignagnoli e oltre Opere
complete (in libreria dal 30 agosto) che
espande con ben 179 nuovi interventi,
dalla singola riga alla manciata di pagine,
la precedente edizione che si fermava all'Opera n. 245: «I dottorigli avevano detto
che se mangiava un'altra fetta di mortadella moriva. Di mortadella ce n'è ancora,
ma lui non c'è più». A curarle e scriverle,
come sempre, è Daniele Benati, scrittore,
studioso e traduttore di autori quali James loyce, Samuel Beckett, Flannery O'
Connor, che usa Learco Pignagnoli come
alter ego (anche se è quasi lecito pensare
il contrario).
Pignagnoli ha un modo tutto suo di
guardare il mondo e alcune certezze, dall'origine amara dell'umorismo — «Se
non c'è niente da ridere vuol dire che non
c'è niente di tragico, e se non c'è niente di
tragico, che valore vuoi che abbia» (Opera n. i61) — al suo porsi verso gli altri: «Tranne me e te, tutto il mondo è pieno
di gente strana. E poi anche te sei un po'
strano» (Opera n. t3). Due tensioni che
aprono a un ricco ventaglio di Ioni e di
forme che rendono il ritmo della lettura
felicemente altalenante: dal paradossale
al surreale, dalla rabbia a certo «magone», attraverso l'aforisma, Il breve racconto, l'invito a immaginare una situazione,ll ragionamento, l'aneddoto esemplare, vero o falso che sia.
Come nota Ermanno Cavazzoní, presentando il libro per la collana Quodlibet
Compagnia Extra, il genere che abbraccia
meglio tanta varietà «è la tradizione antica della Satira, ripresa, rimodernata, leggibile con gusto». La frammentarietà e le
diverse lunghezze delle opere sono infatti superate dalla coralità dei temi e dei
personaggi.
Ci sono argomenti sarcastici ricorrenti, ossessivi, che punteggiano le pagine,
come l'icona di Alberto Moravia, prima
sbeffeggiato — «Se andate a comprare
un romanzo di Moravia, non comprate
un romanzo, ma un mezzo chilo di carta
— e nelle nuove opere al centro di un
«periodo in cui mi ero pentito di aver
detto tutte quelle cose su Moravia», gli scrittori e l'editoria, gli insegnanti, ma
anche i cultori dello zen, Netflix, la Juventus. Tornano spesso anche tanti bislacchi
personaggi: nelle Altre Opere complete
spicca Saracca, feroce critico della lingua
italiana americanizzata; mentre nelle prime è difficile dimenticare Gambazza,
spettatore che tiene peri cattivi e rimane
deluso perché «il bene trionfa sempre al
cine e 11 popolino va a casa contento».
L'impronta dello stile sembra colloquiale e l'immaginario quotidiano, ma la
lingua è lavorata con cura e i twist verso
l'assoluto colpiscono a sorpresa il lettore,
dai pensieri sulla fine — «Io e Squarcialupi siamo morti già da tre o quattro anni, ma è meglio che non si sappia in giro»
(Opera n. n) — a quelli sull'identità, come nell'Opera cartesiana: «Penso, dunque non sona io» (n. 307). Sono entrambe condizioni incerte che Ilenati ha approfondito in altre prove narrative, dalla
raccolta di racconti con cui esordi Silenzio in Emilio (Feltrinelli, rgc17; Quodlibet,
2008), al romanzo post-moderno e dantesco Cari dell'inferno (Feltrinelli, 2004;
Quodlibet, 2018). La coerenza della figura
dl Learco Pignagnoli, come personaggio
di scrittore schivo e isolato, ben raccontato nella sua vocazione nel breve romanzo
pseudo-autobiografico Giacomo che si
trova in Appendice, crediamo sia anche frutto di una tradizione che Benati ha
esplorato nell'antologia, curata con il suo
amico e maestro Gianni Celati, Storie di
solitari americani (Rizzoli-Bur 2oo6) con
racconti di Poe, Melville, Hemingway,
Haeamett e altri. Dato un Certo modo di
guardare alla realtà attraverso le parole,
senza regole retoriche troppo vincolanti,
ma con cadenze poetiche sentite, Benati
diventa Pignagnoli e scrive. 11 risultato
complessivo ha un effetto da musica
blues, tra standard tematici che riemergono e improvvisazioni, senza effetti posticci da interpretazione. lin pericolo noto all'autore — «E finito male e sai perché? Perché credeva di essere sé stesso»
(Opera n.. 63)— che lo schiva, perché Pignagnoli è sé stesso, quando è, e finisce
bene.