Recensioni / La verità del mondo è residenziale

In questa pregevole «Autobiografia documentaria» il primo traduttore italiano di Adorno e Benjamin viene fuori in tutta la tensione politica de saggista «en situation», che diffida del cosmopolitismo e dei viaggi.

Più invocata o teorizzata che non effettivamente realizzata, la saggistica è un genere minoritario nel Novecento italiano. Volentieri scambiata con la scienza della letteratura ovvero con una libera variazione sul tema, essa non consiste nella pura filologia ne, tanto meno, nella prosa d’arte. Al contrario, affermava Lukàcs un secolo fa nel testo fondativo di L’anima e le forme, la saggistica è comprensione profonda e meditata di una forma o meglio è una «sapienza» scaturita dal «sapere» che viene interrogando con perizia e accanimento, ma si direbbe tuttavia in caduta libera, quella
forma medesima. Vale a dire è il risultato imprevedibile di una tensione, o meglio della dialettica tra la libertà di un soggetto e i vincoli di un oggetto determinato (un’opera d’arte, un pensiero al lavoro): a sua volta, la saggistica testimonia il carattere integrale di un’esperienza.
È quanto viene in mente davanti al volume, splendido anche nella fattura tipografica, che raccoglie finalmente le pagine disperse di Renato Solmi (Autografia documentaria Scritti 1950-2004, Quodlibet «Verbarium», pp. 828, € 60,00), nella cui vicenda sono transitati i temi e i massimi nomi del pensiero critico e della sinistra intellettuale. Nella ambivalenza del titolo si contiene già il segnale di un percorso complesso, anzi l’attitudine anfibia che è tipica di ogni vocazione saggistica: da un lato il confronto diretto con i testi della tradizione (per chi non lo sapesse, Solmi è stato fra l’altro il primo traduttore italiano di Adorno – Minima moralia, Einaudi 1955 - e di Walter Benjamin - Angelus novus ivi 1962); dall’altro, una meditazione o meglio una collocazione degli stessi en situation, in modo da connetterli all’ambiente che recepisce e da intramarli volta a volta al frangente politico-intellettuale della cultura d’arrivo. Basterebbe, ad esempio, citare il passaggio dove Solmi, nella introduzione ai Minima moralia, evoca l’ambiguità del cosmopolitismo proprio nel momento in cui la società italiana sta entrando sella fase della modernizzazione neocapitalista e perciò si illude di poter rimuovere di colpo, esorcizzandolo, il suo retaggio provinciale: «Occorre diffidare del viaggio, quando non è una necessità o una forma di vita. Dettato dalla curiosità, è l’espressione tipica della irresponsabilità umanistica. (…) Come i grandi filosofi, da Spinoza a Kant, da Vico a Croce, sono sempre stati - secondo una definizione di Cecil Sprigge –“filosofi residenti", così la percezione dell’essenza esclude la sovranità del viaggiatore. Che è sempre tentato di rifugiarsi nella formalità dell’io, e di congiungersi con l’uomo e con la natura umana al di sopra delle lotte e delle sofferenze degli uomini reali. La sua compassione, tutta impersonale e disinteressata, non potrebbe giungere fino alle estreme conseguenze».
C’è qui dissimulata la radice da cui muove tutta la saggistica di Solmi: lo sdegno per la sofferenza o crudele parzialità in cui è costretta a dimorare l’esistenza degli esseri umani per costrizione di natura e/o di classe («la vita offesa», suonava il celebre sottotitolo di Adorno), così come la necessità di non distogliere mai lo sguardo e cioè di aderire a quella stessa sofferenza pensandola radicalmente, come fosse una volta per sempre. L’idea della lontananza che la forma-saggio può evocare nelle sue impervie escursioni, non avrebbero senso né legittimazione senza l’hic-et-nunc di tale punto fermo. E si potrebbe qui anche dire che «residenza» con quanto di introverso e di ossessivo può richiamare la parola, significa semplicemente la ricerca di una propria verità. Lo conferma lo stile di Solmi che per mezzo secolo ha mantenuto infatti una fisionomia costante e ben riconoscibile: ampio e magnanimo nella costruzione dei periodi (fitti di subordinate e di incisi disposti in simmetria), come di chi è abituato a ragionare e a soppesare ogni argomento, ma secco e tagliente sia negli incipit sia nelle clausole, come di chi avverte sempre l'impellenza d'essere esplicito e il dovere della chiarezza. Insomma uno stile segnato dalla necessità di scrivere tutto «ciò che sappiamo e ci sforziamo invano di dimenticare», come gli capita di ammettere in un passaggio cruciale.
Paradosso dei grandi intellettuali residenziali, tanto ricca e dislocata è la costellazione di Solmi quanto singolare è il decorso biografico che dal lavoro nella redazione di Einaudi ('51-‘63) lo porta poi a insegnare per trent’anni filosofia e storia nei licei di Torino e di Aosta. (Da Einaudi, dopo un lungo e tormentato rapporto, viene estromesso insieme con Raniero Panieri per aver patrocinato il libro di Goffredo Fofi L’immigrazione meridionale a Torino, inviso alla fiat e agli ambienti confindustriali). L’indice di Autobiografia documentaria ne rispetta la cronologia.
Le prime tre parti sono dedicate agli anni dell'apprendistato in cui convivono gli interessi del filologo classico (sorprendenti, per un ventenne, le pagine di recensione a opere di Jaeger, Snell, Cassirer, Ernesto De Martino), l'iniziazione al marxismo antidogmatico sulla rivista «Discussioni» (dove, amici di tutta la vita, scrivono con lui Luciano Amodio e Delfino Insolera), e il precoce confronto con la letteratura europea, in cui spicca, già acutissimo, il saggio su Il disgelo di Il'ja Erenburg uscito nel '55 su «Nuovi Argomenti». La sezione centrale del volume riguarda invece l'attività del germanista e contiene le pagine su Adorno, Benjamin, Marcuse, in dialogo costante con Cesare Cases e, più indirettamente, con Franco Fortini.
Forse meno noti ma non meno rilevanti gli scritti delle due sezioni successive: da una parte, i testi derivati dalla personale esperienza scolastica che costituiscono nell'insieme un lucido e persino spietato diagramma del '68, nel combinarsi di pratiche innovative e promesse inadempiute; dall'altro, gli scritti raccolti sotto il titolo La nuova sinistra americana, la guerra del Vietnam e lo sviluppo dei movimenti pacifisti che testimoniano contatti di primissima mano (Gunther Anders, Chomsky, il neomarxismo di Baran e Swezee) e una nuova collaborazione con Einaudi, grazie alla straordinaria «collana viola» dì Luca Baranelli inaugurata proprio nel 1968 da La contestazione cinese di Edoarda Masi, due altri suoi interlocutori di lungo periodo. Chiudono il volume le pagine di memoria e ricordo dove tornano a pulsare tutte quante le luci della costellazione, da Raniero Panzieri, «un filo che veniva da molto lontano», agli amici di «Discussioni», da Sergio Caprioglio (collega da Einaudi, pioniere della filologia gramsciana) a Luciano Amodio suo iniziatore alla lettura di Hegel, dal padre Sergio al maestro di sempre, Theodor Wiesengrund Adorno, cui Renato Solmi ha voluto dedicare le parole che suggellano Autobiografia documentaria. Non si tratta di un congedo ma, ancora una volta, dell'invito da parte del saggista a risiedere laddove più dura ma anche più fervida si manifesta la verità del mondo: «Non resta che partecipare, nei limiti delle possibilità, in uno spirito di solidarietà appassionata e di comprensione attiva, al movimento, o ai movimenti, che si vengono sviluppando un po' dovunque e, come è noto, anche nel nostro paese, e che prefigurano l'avvento di una nuova Internazionale pacifista e nonviolenta, aliena da ogni forma di costrizione, ma non meno saldamente coesa e compatta di quelle che l'avevano preceduta».