Recensioni / Contro il realismo, il fantastico italiano per la spiaggia

La letteratura italiana è fortemente legata al fantastico, sebbene negli ultimi anni i più prestigiosi premi nazionali e i salotti televisivi suggeriscano il contrario. Senza risalire ad Ariosto e Basile, si prendano alcuni degli “specialisti” che, dopo la parentesi manzoniana ottocentesca ostile al “guazzabuglio di streghe [e] di spettri”, hanno dato lustro al genere nel Novecento: Calvino, Manganelli, Buzzati, Morselli, Landolfi e così a seguire. Per non parlare degli autori di norma votati al realismo che pure hanno scritto memorabile narrativa fantastica, su tutti Primo Levi.

Perché, allora, i premi e i media mainstream oggi ignorano il genere, valorizzando invece opere e autori tenacemente realisti? In parte perché – come ci ricorda Carlo Mazza Galanti – l’ombra di Manzoni incombe ancora. Tuttavia, secondo quanto pure emerge in ambienti letterari perlopiù “indipendenti”, bisogna forse cercare le cause anche in questioni commerciali: i più prestigiosi premi e i salotti tv (che drammaticamente coincidono nella finale dello Strega trasmessa su emittenti di Stato) sarebbero uno strumento dei grandi gruppi editoriali per promuovere opere da vendere in quantità.

[...]

Siamo sul piano del marketing, dunque, più che sul piano letterario. D’altronde quello del libro, in Italia, è un mercato ristretto, e la lettura è una pratica lontana dalle abitudini della popolazione: come dimostrano dati Eurostat di lungo periodo di una survey prepandemica, gli italiani tra 20 e 74 anni occupano in media solo cinque minuti al giorno nella lettura di libri, penultimi in Europa.

In tale contesto, la strategia commerciale è allora blandire gli svogliati e sparuti lettori, smerciando narrativa in cui ci si possa identificare senza complicazioni, con versioni più o meno consolatorie di una realtà riconoscibile: da qui il successo del romanzo di formazione borghese e dell’autofiction; ma anche del giallo, del poliziesco e del romanzo storico, generi che ben si adattano alle trasposizioni seriali sul piccolo schermo.

Rovesciamento di sguardo: proprio ciò che avviene anche ne La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera di Alberto Ravasio (1990), pubblicato per Quodlibet. Come Gregor Samsa – il protagonista de La metamorfosi di Kafka che un giorno si sveglia mutato in scarafaggio – così Guglielmo Sputacchiera, che d’improvviso si sveglia in altra forma nella sua cameretta: tuttavia non insetto, ma donna; improvvisamente “transessualizzato”. Da quel momento la sua vita di giovane adulto senza prospettive, inveterato fruitore di porno digitale, senza occupazione né intenzione di trovarne una, muta anch’essa d’un tratto, precipitando in un gorgo di eventi grotteschi che culminerà con il riconoscimento e la liberazione. Scritto con una riuscita lingua aulica e giocosa, che sa divertire attenuando il peso dei temi in sottotesto, La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera è un romanzo generazionale che si affida al fantastico per risolvere l’impasse in cui molti trentenni di oggi si trovano imbrigliati.

Recensioni correlate