Recensioni / Diventando Capitale, Roma perse se stessa

Di molte capitali del mondo, Roma è tra quelle che più genera sentimenti ambivalenti negli scrittori che scelgono di raccontarla. Sarà per la sua natura anfibia, di luogo che riunisce passato e presente inscrivendo in un tempo sempiterno (quasi atemporale) caratteristiche di grandezza avulse da ogni presente perché pertinenti a fasti lontani, troppo lontani. O sarà, come argomenta in vari degli articoli scritti per il giornale "Paese sera" la scrittrice Dolores Prato, per quella scelta incongrua e a suo dire scellerata che fu designare Roma capitale d'Italia. Lo sguardo di Dolores Prato, il suo punto di vista, anch'essi sono anfibi, sanamente sdoppiati in un continuo dinamismo tra interno ed esterno, tra letteratura e giornalismo, secondo un movimento prospettico che si evince ben chiaro dalla silloge di articoli della grande scrittrice (Roma, non altro, a cura di Valentina Polci).
A Roma Dolores Prato era nata nel 1892, per poi subito lasciarla, figlia illegittima riconosciuta e allevata da parenti marchigiani (di Treia); ma Roma ritrovò tornandoci a vivere per gli studi universitari e più tardi in età adulta, quando scelse definitivamente la città come patria di elezione negli anni della più piena maturità anagrafica e creativa. In questi elzeviri, un ulteriore elemento anfibio si delinea chiaro, mostrando come l'attività di giornalista di Dolores Prato si coniughi in modo magistrale con quella di narratrice. La sua penna è di cronachista documentata e colta, ferrata in senso sia storico che letterario, e al tempo stesso è raffinata, poetica, capace di cogliere il kairos di spaccati della grande città. Un punto di vista, il suo, raffinato e crudelmente realista: «Roma cresce eppure se ne va. Un pezzetto alla volta, ora grosso ora minuscolo, Roma scompare. Al posto di lei, singolare e superba, subentra una città qualunque che gareggia con innumerevoli città qualsiasi». Così, categorica e indignata, senza timore si pronuncia l'autrice di Giù la piazza non c'è nessuno, il capolavoro autobiografico che uscì parziale nel 1980, poi ripubblicato integralmente nel 1997.
Alla radice del suo sguardo atipico, indipendente, irriverente, c'è la convinzione polemica contro Roma capitale. Le descrizioni che ne emergono sono trasversalmente critiche, attente a cogliere ogni singolo elemento di decadenza della città, per sua antica natura «una piccola città addormentata in un verde secolare con uno strano carattere di immensità: piccola e immensa». Dalla sciagurata decisione di eleggerla a capitale (bellissime le pagine in cui al contrario si narra lo splendore di Napoli, di certo più adatta) sono scaturite tutte le sciatterie e le sfortune di Roma. Decadimenti che Dolores Prato osserva e riporta con impietoso nitore e partecipe sconcerto. A ragione, nelle pagine di postfazione, la curatrice di questo prezioso volume menziona il "giornalismo civile", e in assonanza con l'opera di Matilde Serao, parla di una sorta di "ventre di Roma" per queste prose brevi e lancinanti. La penna di Dolores Prato è infallibile, in affondi che hanno alla base occhi ammirati, tesi alla bellezza. C'è il Tevere, di cui lamenta le sponde a contrafforte, «muri, muri, muri sempre». C'è il Pantheon, pieno di «dubbio e mistero», che sorse e si impose assieme ai gatti di Roma, «apparvero insieme gli uni vicini all'altro e insieme sono rimasti e si assomigliano, difficili da capire loro, difficile da capire lui». Ci sono le vie del centro, strette, affollate, «come tutte le cose che sono esageratamente se stesse, se concentrate, straordinariamente vitali».
C'è il Giubileo, di cui la scrittrice considera gli svantaggi analoghi, per Roma, a quelli derivanti dall'essere divenuta capitale. Ci sono i romani, indifferenti a tutto per avere nel corso dei secoli assistito a troppi spettacoli. Ci sono le incurie e le sciatterie urbane guardate con apprensione e indignazione costanti. Su tutto, il disastro dell'omologazione, perché con il diventare capitale d'Italia Roma ha perduto la sua bellezza peculiare che era l'ibridismo, la varietà su diversi livelli che contraddistingueva la città e che con l'ufficialità del suo "status" invece è andata perduta. «Questo era il miracolo di Roma, tener vive nella vita le espressioni che erano state sue nell'antichità classica, e fare questo semplicemente come fa la natura coi miracoli suoi; questo miracolo romano che aveva resistito al tempo, ebbe il suo colpo fatale nell'annessione». Come accade con un amore ferito, l'offesa contiene tra le sue pieghe ammirazione incondizionata. «Roma è una meta, non una strada»: e quella meta la figlia illegittima Dolores Prato conquistò e riconquistò ridandosi radice. Come accade con le radici, e più ancora con le radici riconquistate, venando di astio commisto ad amore la sua riconquista.