Recensioni / Pessoa, fascista "fingitore" e vero conservatore

Il 22 novembre 1926 il Sol pubblica un'intervista, «interamente ideata da Fernando Pessoa», all'enigmatico Giovanni B. Angioletti, «uno dei più grandi nemici delle teorie e della pratica del regime fascista... ben noto collaboratore del Mercure de France... una delle intelligenze più lucide e preziose che avessimo mai conosciuto». L'occasione dell'intervista è la visita, a Lisbona, per l'inaugurazione di una Casa del Fascio, del deputato fascista Ezio Maria Gray. Benché non possa essere eletto nell'Olimpo degli eteronimi di Pessoa, Giovanni B. Angioletti figura tra gli esseri effimeri, gli spettri di un attimo: don Fernando ne ha attinto l'identità vampiro di vite altrui dall'autentico Giovanni Battista Angioletti (1896-1961): giornalista di talento, direttore de L'Italia letteraria e fondatore de L'Approdo, la sua fama da romanziere è ormai sfiorita, eppure per quel che valgono i premi vinse un Bagutta (nel '27, con Il giorno del giudizio), uno Strega (nel '49, con La memoria), un Viareggio (nel '60, con I grandi ospiti). Collaboratore in Rai, guida dell'Istituto italiano di cultura a Praga, l'autentico Angioletti non era esule, non ha mai collaborato con il Mercure de France, non è mai stato in Portogallo, se non come turista. L'Angioletti intervistato da Pessoa che, di fatto, intervista se stesso afferma che Mussolini è «tanto geniale quanto paranoico», che «l'Italia unificata... è stata uno sbaglio», che «le violenze del fascismo non hanno una grande importanza: uguali violenze, o quasi uguali, hanno praticato i suoi avversari; uguali violenze, se non maggiori, praticherebbero da domani, se il Destino soffiasse su di loro quell'illusione chiamata potere». Secondo l'anomalo antifascista, il fascismo è fenomeno transitorio, voluttuoso e vago: «il mondo è retto da forze speciali, molto speciali», un gruppo di 300 plutocrati che governerebbe occultamente il pianeta.

Mussolini, d'altronde, andava di moda. La dottrina del fascismo fu pubblicato first authorized translation in UK per la Hogarth Press dei coniugi Woolf, la casa editrice in cui Virginia si era autoprodotta Orlando e Le onde e aveva stampato La terra desolata di Eliot.

Pessoa seguiva le sorti del fascismo dal 1923: gli era insopportabile quel movimento «somigliante per un lato al bolscevismo e per l'altro allo spirito sindacalista», «mera brutalità partitica», greve «bolscevismo centripeto». Agli occhi di Pessoa, ossessionato dall'occulto, alchimista di ombre, monarchico e massone, il fascismo come i gemelli diversi: nazismo e comunismo massificava l'idiozia («Soviet, comunismo, fascismo, nazionalsocialismo tutto questo è lo stesso evento, il predominio della specie, cioè dei bassi istinti, che sono di tutti, contro l'intelligenza, che è solo dell'individuo»). «Fautore di un nazionalismo mistico», Pessoa era «tutto per l'individuo»: i moti di massa lo irritavano, la democrazia gli sembrava insulsa. In un frammento del 1934, il sommo fingitore scopre la regola aurea: «La democrazia, quale mezzo di conquista del potere, è un mezzo per campare». L'anno dopo, tentò una difesa della dittatura, «giustificata dalle circostanze, allorquando in un Paese lo stato di anarchia, governativa o sociale, è tale da rendere impossibile la vita della legalità».

Il libro di Ferdinando Pessoa Sul fascismo, la dittatura militare e Salazar (Quodlibet, pagg. 378, euro 24) - che raccoglie testi editi e inediti, prose, articoli, appunti sul fascismo italiano, la dittatura militare in Portogallo (1926-33) e l'Estado Novo creato da António de Oliveira Salazar nel 1933 - è bello, curioso, furbo, dacché il fascismo è materia elettorale intramontabile. Il libro riprende la pubblicazione curata da José Barreto nel 2015, ideologica: il florilegio di testi di Pessoa è collezionato per dimostrare che non si può «far figurare Pessoa come un prefascista o un protofascista», per smontare «la fascistizzazione postuma del pensiero di Fernando Pessoa». Più interessante dei giudizi su Mussolini e Hitler («Mussolini e Hitler si attengono all'assoluta banalità delle loro idee», «Nessuno può negare che Mussolini, Hitler, Salazar sono caratteri squilibrati»), comunque, è la visione politica di Pessoa: elitista («Abbiamo assistito alla rivolta dell'idea di uguaglianza contro quella di libertà. Non ci sarebbe stato nessun male in ciò se non fosse che è sulla libertà che le civiltà si basano, ma la libertà produce e stimola la diseguaglianza»), esoterica (è pubblicato, tra l'altro, l'articolo del 4 febbraio 1935 in cui Pessoa difende la Massoneria e le «associazioni segrete» da un progetto di legge che tentava di annientarle), immaginifica («il desiderio di cose impossibili è la forza motrice del mondo»).

Si indignò quando il Regno d'Italia invase l'Abissinia; capì, più profondamente, che «tutti i popoli imperialisti, nel fare schiavi gli altri, fanno schiavi anche se stessi». Equiparava l'azione «dello zio Mussolini» a quella «dell'abate Lenin»: entrambi miravano a minimizzare l'individuo. All'opposto, il suo programma politico, diciamo così, mirava a «insegnare a ogni uomo a pensare con la sua testa e a vivere attraverso la sua esistenza». Diffidava dell'impalcatura statale, difendeva le identità nazionali: oggi le nazioni sono inique e anonime gli Stati ci strozzano. Preferiva «il liberalismo, che non è altro che il rispetto per l'individualità degli altri», connotato come «Nazionalismo Liberale» (moto spontaneo, non strutturato in partito, che «riconosce due, e soltanto due, realtà sociali: l'Individuo, realtà vitale, e la Nazione, realtà ambientale, poiché essa è, in sintesi spirituale, l'ambiente in cui l'Individuo vive»); a volte si diceva «Conservatore di stile inglese... e assolutamente anti-reazionario».

In fondo, l'opera di Pessoa non è che la cronaca di un regno autarchico, in cui convivono, come principi ereditari, un parterre di eteronimi, il monarchico Ricardo Reis e il borghese antiborghese Álvaro de Campos, l'apolitico Alberto Caeiro, il paranoico António Mora e l'apolide antifascista Giovanni B. Angioletti. Il resto, il mondo, è gioco barbaro, per bari, la primavera dei primati: si disintegra corazzati di poesia, stigma e stiletto del puro individualista.