Recensioni / Impegno nel nome di Adorno

Raccolti gli scritti di una delle figure più schive della nostra cultura. Indrodusse in Italia i «Minima moralia», fu cacciato dall’ Einaudi.

Sempre di più, mentre la vita avanza, tocchiamo con mano che poche cose contano davvero: la salute, come ben sapeva Massimo Troisi, e gli effetti, e fra questi il più nobile e disinteressato, all’amicizia. Un monumeato all'amicizia è Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004 di Renato Solmi: un grande volume magistralmente curato dall'amico Luca Baranelli, uno dei migliori redattori che abbia mai avuto l’editoria italiana, finanziato da più di 70 amici generosi e da varie istituzioni culturali, tra cui spiccano l'Associazione culturale Michele Ranchetti, l'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e il Centro studi Piero Gobetti, e soprattutto traboccante di amicizia nei contenuti. Il primo carattere di Renato, accanto alla severità verso se stesso, è il riconoscimento caloroso senza riserve del merito altrui.
Nato ad Aosta nel 1927 dal poeta Sergio Solmi, una figura importante nella cultura italiana del Novecento, Renato è l’intellettuale schivo e troppo modesto che, chiamato dalla casa editrice Einaudi a 24 anni, è stato «l'importatore» di Theodor Wiesengrund Adorno e di Walter Benjamin in Italia. È stato lui a tradurre e a scrivere l'introduzione ai due capolavori apparsi per primi nel nostro Paese, Minima moralia, il grande e difficile libro di aforismi di Adorno, e la mirabile antologia Angelus novus di Benjamin, un libro che fece epoca.
Solmi lesse i Minima moralia. Meditazioni dalla vita offesa fin dal 1952, quando uscirono in Germania, e li propose subito all' Einaudi, incontrando notevoli difficoltà. Poi, innamoratosi del pensiero della Scuola di Francoforte, la raggiunse e la frequentò nel 1956-57. Adorno è sempre rimasto per Renato «il mio grande maestro». Basterebbe questo per meritargli un posto nella cultura del dopoguerra, accanto all sua vasta attività di traduttore e saggista. Non minore apprezzamento merita la precocità con cui scese in campo, nella disputa politico-culturale, contro lo stalinismo allora dominante nella sinistra.
Impossibile affrontare anche solo di scorcio i temi di un volume che in pratica raccoglie l'opera omnia di Solmi, con studi che spaziano dalla filosofia greca (Solmi si laureò con una tesi su Platone in Sicilia) ai classici del marxismo, con articoli, introduzioni, saggi, interventi politici oggi introva bili. Ma uno almeno va citato. Nel saggio «I miei anni all'Einaudi» Solmi racconta fedelmente e senza rancore la nota vicenda del 1963: la sua defenestrazione dalla casa editrice. Il gruppo dirigente si era opposto compatto, spaccando però il consiglio editoriale alla  pubblicazione di L'immigrazione meridionale a Torino di Goffredo Fofi, che uscirà poi da Feltrinelli, la prima inchiesta importante sull’argomento; e subito dopo si vendicò contro i redattori che avevano apertamente contestato quella decisione. Cacciando sia Solmi sia Raniero Panzieri, il fondatore dei «Quaderni rossi» A dire le cose come stavano, la casa editrice aveva ricevuto da poco un sostanzioso contributo dalla Fiat; così racconta Piero Bairati nella sua biografia di Valletta. «Se la cosa fosse stata presentata francamente in questi termini – commenta Renato – la validità di quei motivi sarebbe stata riconosciuta, sia pure con amarezza. A suscitare l’indignazione dell’autore e dei curatori interni dell’opera fu il modo obliquo e indiretto» con cui venne attaccata, ricorrendo ipocritamente a «obiezioni di carattere stilistico e formale». La cattiva coscienza non giova alle battaglie culturali.