Recensioni / Costruire in Francia.. Costruire in ferro Costruire. in cemento torna in libreria

Qualche mese fa è uscito per Quodlibet un libro dal titolo impossibile: Costruire in Francia | Costruire in Ferro | Costruire in Cemento che però, quando venne pubblicato per la prima volta, ormai quasi un secolo fa, aveva l’intenzione di parlare anche a chi di architettura non si occupa di novità rivoluzionarie. Insomma, il testo capitale di Siegfried Giedion era, nelle intenzioni dell’autore, un testo divulgativo, e anche se il titolo in questo senso oggi non aiuta, il libro non ha perso nel tempo un grammo del suo fascino. Giedion infatti intuisce nel 1928 che il futuro dell’architettura è l’ingegneria, e ne ridisegna i canoni estetici. In più, tutte le sue predizioni si sono avverate.
L’autore è stato un importante storico e critico dell’architettura del Novecento, nonché un partigiano dell’architettura Moderna, e in quanto tale prende una posizione precisa, intravedendo nel panorama architettonico la possibilità di una nuova estetica destinata a rivoluzionare e sostituire immaginari ormai stantii. Il volume è articolato in tre parti, nella prima Giedion osserva dei progetti infrastrutturali, nel dettaglio quelli dei pionieri dell’ingegneria di inizio Ottocento, che iniziarono a utilizzare l’acciaio, che cominciava a essere prodotto industrialmente, per realizzare infrastrutture pubbliche, per esempio i ponti. Nella seconda parte il libro mostra come questi elementi fossero poi iniziati a entrare nell’edilizia civile europea: l’Europa era allora l’unico posto al mondo dove si faceva innovazione architettonica, a inizio Ottocento infatti gli Stati Uniti non erano ancora all’avanguardia da questo punto di vista. Nell’ultima parte il volume prende in esame un altro materiale avveniristico per l’epoca: il cemento armato, qui Giedion tratta esclusivamente della Francia, che era però un osservatorio privilegiato. La tesi alla base di Costruire in Francia | Costruire in Ferro | Costruire in Cemento è che questa rivoluzione industriale e tecnologica costituirà il futuro dell’architettura, che inizierà a essere dominato da soluzioni ingegneristiche.
In quel tempo il campo delle costruzioni era diviso in due, da un lato c’era chi si formava all’École Polytechnique – come detto il suo punto d’osservazione è la Francia, ma dinamiche analoghe erano presenti anche negli altri paesi europei – ovvero la scuola che formava gli ingegneri; dall’altro lato c’era chi studiava a l’École des Beaux-Arts, l’accademia delle belle arti, che al contrario formava gli architetti. L’architettura come la intendiamo ora, cioè come fusione di architettura e ingegneria, semplicemente non esisteva: all’epoca questi due ambiti separati e l’architetto era un artista, così come i progetti di architettura erano dei quadri – non dei disegni tecnici – in cui erano raffigurati facciate e dettagli: l’architettura era un fatto eminentemente ornamentale. Il canone estetico di riferimento era l’eclettismo, e l’architetto era l’artista che riusciva ad accogliere nelle sue opere un set di suggestioni integralmente provenienti dal passato, gli stilemi dominanti erano neoclassico e neogotico; mentre la tecnologia costruttiva era ormai antichissima e basata integralmente sull’utilizzo massiccio del muro, capace di caratterizzarla per millenni. Grazie alla scoperta e all’uso di acciaio e cemento armato, Siegfried Giedion intuiva la nascita di una nuova estetica in campo architettonico, e teorizza la rivoluzione estetica che sarà costituita dal ruolo sempre più centrale dell’ingegneria.

Dal punto di vista estetico l’ingegneria infatti sarà destinata a sovrastare le vecchie soluzioni, e questo per l’autore si poteva già intuire prendendo come punto di riferimento i primi ingegneri che a inizio Ottocento realizzarono infrastrutture. La dinamica trova conferma nel lavoro dei pionieri che cominciarono a introdurre i nuovi principi in ambito più prettamente architettonico, soffermandosi in particolare sul lavoro di Henri Labrouste, un architetto che iniziò a introdurre in edifici di impostazione classica, in cui il muro ancora la faceva da padrone e l’ornamento indispensabile, elementi come delle semplici travi di ghisa, che però gli consentono di disegnare piante molto più libere, con spazi più grandi punteggiati da colonne sottilissime, senza basamenti né capitelli. Un esempio del suo lavoro è la Bibliothèque Sainte-Geneviève di Parigi: si tratta di una rivoluzione, che apre la strada a nuove possibilità.

Per mostrare il precipitato di queste novità Giedion sfrutta in modo sapiente le illustrazioni, e attraverso delle schede realizzate per lui da László Moholy-Nagy, un grafico del Bauhaus che ha rivoluzionò la grafica dell’epoca, confronta servendosi di una serie di frecce due foto alla volta, mostrando come tra il 1850 e il 1920 l’architettura abbia già di fatto implementato le novità di cui andava discutendo, diventando ormai quella che conosciamo come architettura moderna: architetti come Mies van der Rohe, Le Corbusier, e Gropius avevano infatti già dato corpo a quello che sarebbe diventato un canone estetico che in architettura sarebbe durato fino agli anni Settanta. Tramite i grafici Giedion mostra come il principio generatore della colonna di Labrouste diventa, a decenni di distanza, un pilastro di una casa totalmente razionalista di Le Corbusier.

L’autore è innamorato di questa nuova estetica, così come del dominio dell’ingegneria sull’architettura, giudica sorpassato il concetto di ornamento, un elemento di cui l’architettura a suo dire può liberarsi, nello stesso modo in cui un ponte diventa esclusivamente struttura: la sua estetica può e deve coincidere con la sua essenza, senza bisogno di ornamenti. Quando esce Costruire in Francia | Costruire in Ferro | Costruire in Cemento, nel 1928, in realtà questo approccio razionalista è ormai consolidato a livello di avanguardia, e Giedion prende dunque posizione su un canone estetico ormai esistente, anche se marginale, intuendo che sarebbe però che sarebbe in effetti diventato dominante nel corso del Novecento. Quella che all’inizio nel lavoro di Labrouste era una colonna di ghisa, permette in realtà la realizzazione di spazi prima impensabili, come le grandi stazioni ferroviarie francesi e tedesche, realizzate completamente in acciaio, o come gli enormi edifici di ferro e vetro realizzati in occasione delle Expo, costruzioni che inoltre avevano l’inusitata caratteristica di poter essere smontati e riutilizzati. La Torre Eiffel per i contemporanei doveva essere sconvolgente: da millenni gli uomini erano abituati a vedere le costruzioni stare in piedi sorretti da mura, da quel momento la torre più alta del mondo stava su grazie alla sua sola struttura, senza un grammo di pietra.

Nell’ultima parte del libro l’autore si sofferma sull’uso del cemento armato, mostrando come i pionieri dell’utilizzo civile di questo materiale siano stati francesi, probabilmente il primo in assoluto fu Auguste Perret, che a Parigi, in Rue de Franklin, realizzò la prima casa in cemento armato. A vederla non è poi così diversa da una palazzina che si potrebbe tirar su anche ora: ha grandi finestre, è scomposta, presenta molti balconi: è una palazzina moderna. A partire da quel primo esperimento Perret inizia a sperimentare l’uso del cemento armato in diverse costruzioni: dalle chiese ai dock di Casablanca. Prima di allora un percorso di formazione in architettura prevedeva viaggi a Roma e Firenze, da quel momento invece comincia a essere più importante essere aggiornati sui nuovi materiali, e magari iniziare addirittura a produrli: lo stesso Perret aveva una fabbrica di cemento, grazie alla quale poteva permettersi di sperimentare. Secondo Perret l’architetto del Novecento doveva in pratica essere anche un costruttore.