Recensioni / Pessoa contro i fascismi

«La principale opera del fascismo è il miglioramento e l'organizzazione del sistema ferroviario. I treni oggigiorno funzionano bene e arrivano sempre in orario. Per esempio, tu vivi a Milano, tuo padre vive a Roma. I fascisti uccidono tuo padre ma tu hai la certezza che, prendendo un treno, arrivi in tempo per il funerale». Questa fulminante notazione di Fernando Pessoa, più efficace di migliaia di pagine, è contenuta nella raccolta dei suoi scritti politici editi da Quodlibet, a cura di José Barreto e Vincenzo Russo col titolo Sul fascismo, la dittatura militare e Salazar. Si tratta di testi di varia natura - riflessioni, commenti, lettere, frammenti, spesso rimasti inediti, anche perché censurati dal regime portoghese - scritti dall'autore nel periodo che va dal 1923 fino alla sua morte nel novembre del 1935. Essi non delineano un disegno unitario, né sul piano ideologico né su quello del genere letterario, che passa dalla prosa alla poesia, dall'analisi all'invettiva. Ma a colpire il lettore è soprattutto l'oscillazione di giudizio sulla figura di Salazar e sulla stessa dittatura, in una prima fase accettata dallo scrittore come inevitabile e non del tutto incompatibile con la propria prospettiva liberale.
Se si tiene conto della storia caotica del Portogallo, passato in un breve giro di anni dallamornarchia alla repubblica, poi alla dittatura militare e infine al regime autoritario di Salazar, se ne ha una prima motivazione. Ma una ragione più intrinseca sta nella caratteristica attitudine metamorfica di uno scrittore che ha fatto dell'eteronomia - della molteplicità dei nomi e delle identità - la cifra peculiare della propria arte. Sarebbe però un grave errore classificare Pessoa tra gli intellettuali sensibili alla seduzione dei fascismi, anche di quelli apparentemente moderati, del tempo. Nonostante le indecisioni e anche gli ossimori - come quello di una "dittatura liberale" - egli resta lontano dal criptofascismo dei vari Sorel, Jünger, Pound, Eliot, Kipling. Forse la migliore definizione della propria ideologia è quella data da lui stesso in una fulminea autopresentazione: «conservatore di stile inglese, ossia liberale all'interno del conservatorismo, e assolutamente antireazionario».
A prevalere in lui è il fastidio per ogni forma di oppressione della libera opinione, per non parlare della censura da lui stesso sperimentata soprattutto negli ultimi anni di vita, quando la sua critica al fascismo diventa sempre più esplicita. Quelle che il regime chiama direttive sono delle "museruola", perché il fascismo «non è azione né reazione bensì mera brutalità partiti - i muscoli di una mezza idea diventata epilettica». Del resto Mussolini, di. cui lo scrittore ammette la singolare abilità politica, resta un "paranoico" e un "primitivo cerebrale", così come Salazar, nonostante la sua tecnica da contabile economico, rimane un "cadavere emotivo". Il commento caustico alla lettera di Mussolini inviata al Times il 26 giugno in inglese, da chi «non conosce l'inglese, né, a quanto pare, ha trovato qualcuno che lo conosca a sufficienza tra i quaranta milioni di persone che compongono la sua patria virtuale», dà la misura del disprezzo dell'intellettuale poliglotta portoghese per il provincialismo del. "duce". Certo, un disprezzo che non arriva a farsi analisi storica e neanche ideologia politica. Anche per il radicato anticomunismo che gli fa mettere sullo stesso piano "lo zio Mussolini" e "l'abate Lenin". Ma che, rispetto ad entrambi, conduce Pessoa a chiedere di «non opprimere». Di «insegnare a ogni uomo a pensare con la sua testa e a vivere attraverso la sua esistenza - solo con la sua esistenza».
D'altra parte un disorientamento complessivo è comprensibile in chi, come Pessoa, ha assistito in pochi anni ad eventi, allo stesso tempo inaspettati e terribili, come la rivoluzione sovietica nel 1917, l'imporsi del fascismo italiano nel 1922, il crollo della borsa nel 1929, l'avvento del nazismo nel 1933. Per molti intellettuali del tempo non è stato facile comporre questa successione di vere e proprie catastrofi in una trama significativa. La vicenda che forse per prima fornisce una chiave interpretativa di quanto stava per accadere - la guerra di Spagna del 1937 - avviene quando Pessoa è appena morto, lasciando la sua visuale ancora opaca. Non tanto, però, da non fargli cogliere la deriva omicida che il fascismo italiano stava imboccando con la conquista imperialista dell'Etiopia. In quella circostanza il velo sembra squarciarsi definitivamente. Il pretesto avanzato dal fascismo di portare la civiltà abolendo la schiavitù in quella terra appare per ciò che in effetti è: la sua estensione anche in Italia e, possibilmente, in Europa: «E fatalità di tutti i popoli imperialisti. che, nel fare schiavi gli altri, facciano schiavi anche se stessi».