«Archivi esposti». Questo è il titolo del volume, ora disponibile da Quodlibet, in cui sono raccolti gli atti di un recente convegno barese. Ma qual è la posizione che hanno preso i curatori Maria Giovanna Mancini, docente di Storia dell'arte contemporanea nell'università di Bari, Massimo Maiorino. professore di Museologia nell'Ateneo di Salerno - allievi di Stefania Zuliani -, e Francesca Zanella, che insegna Storia dell'architettura nell'università di Modena e di Reggio Emilia? Il sottotitolo, in cui si legge in controluce la lezione di Foucault, recita «Teorie e pratiche dell'arte contemporanea» e in effetti gli "Archivi esposti" sono gli archivi - che sono talvolta delle opere - dell'arte contemporanea che si mettono in mostra. Mancini, riprendendo le tesi proposte dalla rivista statunitense «October», di cui è studiosa, sottolinea come «La critica e la storia dell'arte dì segno poststrutturalista si sono misurati con la figura dell'archivio», mentre Maiorino, autore del volume «L’artista come archeologo. Uno scavo nell'arte italiana del XXI secolo», suggerisce che l'archivio, in quanto «evanescente sistemazione della memoria», diviene «spazio di immaginazione».
D'altra parte, Zanella avvisa che non va dimenticata «la dimensione spazio-temporale e soggettiva dell'archivio», e ricorda sulla scorta del filosofo Jean-Luc Nancy che «noi inventiamo i nostri archivi tanto quanto l'autore si inventa, si inventa con un gesto, una maniera, uno stile sul quale mette il suo nome».
Foucault, Derrida e Nancy
sono solo alcuni dei nomi che ricorrono nella trama teorica dei volume «Archivi esposti», in cui incontriamo scritti di Francesca Castellani e Marco Zuliani e Rossi, Jaksic
e Puc, Raffaella Perna e Laura Iamurri. Tra le tante voci raccolte nel volume, anche quella di Antonello Tolve che discute dell'«archivio come materiale d'artista». L’archivio diventa insomma un'opera, ed è questa una delle pratiche che sì va di diffondendo meglio negli ultimi tempi. Costruito su questo tessuto teorico, si sviluppa poi un lavoro di mappatura su singoli archivi: l'archivio di Carla Lonzi e l'archivio della Biennale, l'archivio di Clemen Parroccheni, quello da Vincenzo Aghetti e quello di Cado Alfano, il quale ha tenuto conto - annota Maria De Vivo - proprio del pensiero di Michel Foucalt, «aprendo una breccia ernancipativa nell'orizzonte degli anni Sessanta». E ancora l'archivio MoRE e quello IC.A di
Singapore. E ancora, indimenticabili, gli archivi di Germano Celant e di Achille Bonito Oliva, tanto differenti: storici e critici del contemporaneo che sono il riferimento della mia generazione. Per finire, le proposte di itinerari» di Cacciottolo e di Ventre, che chiudono la ricognizione critica di «Archivi esposti».