Inventore di avanguardie, oltre che grande
poeta del Novecento
portoghese, Fernando
Pessoa — e con lui qualcuno dei suoi eteronimi, quella galassia di letterati e poeti che coabitavano nel suo «io» ma si manifestavano come «altri da sé» —
ha coniato una serie di «ismi»
nel tentativo di decifrare il suo
tempo e di incarnare il Modernismo portoghese: Intersezionismo, Paulismo, Sensazionismo. E
nota, poi, l'attrazione per lo
spiritismo, che fin da ragazzo
Pessoa praticò con la zia Anica, e quella per l'occultismo,
che gli fece incontrare il famoso ed eccentrico Aleister Crowley; amicizia testimoniata anche da un lungo carteggio.
«Tutto vale la pena, se l'anima
non è angusta», scrisse in due
versi di Mensagem (in Una sola
moltitudine, vol. II), un poema
intriso di patriottismo ed esoterismo (altri «ismi»!).
Era pressoché impossibile
che Pessoa si lasciasse irretire
dai progetti mortiferi del «dinosauro eccellentissimo»: così
José Cardoso Pires chiamava
Antonio de Oliveira Salazar, il
grigio economista cattolico e
ultraconservatore che nel breve volgere di un lustro traghettò il Portogallo in una viscida
dittatura, che niente aveva da
invidiare alle omologhe derive liberticide in voga in Europa e alle quali si ispirava.
Diversamente da quanto
una parte della critica ha cercato a più riprese di dimostrare,
Pessoa, per il quale valeva la
massima «Tutto per l'Umanità, niente per la Nazione», non
solo non si fece affascinare dal
tetro figuro che in un verso satirico definì un misto di «sale»
e «iella» (Sal-azar, in portoghese) — destinato a rimanere soltanto «iella» quando il sale si
fosse disciolto sotto la pioggia
—, ma avvertì il dovere di reagire con numerosi interventi nei
confronti di quell'apparato
ideologico fascistoide che
avrebbe funestato il Portogallo e i territori ultramarini di
lingua portoghese fino alla pacifica Rivoluzione dei Garofani del 25 aprile 1974.
I testi che ne danno testimonianza sono raccolti in un volume titolato Sul fascismo, La
dittatura militare e Salazar
(a cura di José Barreto, edizione italiana a cura di Vincenzo
Russo, Quodlibet, pp. 384, €
24,00). Sono scritti di natura civile e politica in cui Pessoa riflette sul nazionalismo, sull'iberismo, sulla parabola
dall'imperialismo al liberalismo, con un occhio alla politica internazionale, compresa
quella del nostro paese.
Se già conosciamo il riflessivo osservatore della baixa lisboeta Bernardo Soares, o il placido e bucolico Alberto Caeiro
(rispettivamente un semi-eteronimo e un eteronimo), niente hanno a che vedere i loro stili con la penna incandescente
del Pessoa polemista.
Questa è prosa tagliente,
caustica, con chiose di raffinata (ma non sempre) ironia lanciate a mezzo stampa contro i
dispacci del potere; dichiarazioni violente e invettive in
cui convergono l'umorale
poeta e il puntiglioso teorico
dalla prosa involuta, e in questo caso — più che altrove — necessariamente frammentaria. Molte sono infatti riflessioni impubblicabili nel Portogallo di allora, in cui vige la
censura, bozze destinate a
sbollire nel cassetto in attesa
di tempi migliori.
I 123 testi composti tra il
1923 e i11935, anno della morte di Pessoa, ma integralmente pubblicati in Portogallo nel
2015, ristabiliscono finalmente anche per il lettore italiano
— e dopo quasi trent'anni da
una prima edizione, mutilata
e strumentale, che sulle pagine del «Corriere» fece indignare Antonio Tabucchi — quella
giusta distanza tra l'enigmatica figura del poeta dell'inquietudine e gli «ismi» che devastavano l'Europa del tempo.