Recensioni / Luca Lenzini, Cronotopi novecenteschi. Intrecci di Spazio e Tempo in poesia

Davanti al titolo e all’annesso sottotitolo del recente saggio di Luca Lenzini il lettore non potrà non richiamare alla memoria il conosciutissimo Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo di Michail Bachtin. La proposta dello studioso è difatti quella di leggere alcuni testi di poesia novecentesca tramite gli strumenti critici bachtiniani, solitamente utilizzati negli studi sul romanzo. Le convincenti analisi proposte sono un’implicita conferma dell’opportunità di questa applicazione metodologica, del resto già legittimata da Bachtin in Epos e romanzo: in quel saggio si notava infatti come il sistema dei generi letterari, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, fosse stato investito da un processo di «romanzizzazione» che non ha coinvolto unicamente la circolazione dei cronotopi romanzeschi ma anche e soprattutto la caratteristica istanza dialogica del romanzo. Difatti, sia che ritorni alla casa dell’infanzia e riscopra il tempo dell’idillio – come nei testi analizzati nella prima parte del saggio – o che, camminando per strada, si imbatta in un conoscente o in uno sconosciuto – come nei testi della seconda –, l’io lirico fa esperienza di un contatto con l’altro.
Il ritorno nella casa degli avi, cui Guido Gozzano ha dedicato, nella Via del rifugio, i Sonetti del ritorno e l’Analfabeta, è al centro della prima parte del libro. In modo simile ad altri personaggi di una costellazione europea primonovecentesca tracciata dallo studioso, cui appartengono Tonio Kröger di Thomas Mann ed Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov, l’io lirico, che aveva infranto l’idillio trasferendosi in città e appropriandosi della cultura urbana, fa ritorno nella casa di campagna e si confronta con il ricordo del Nonno, esempio di equilibrio tra uomo e cicli naturali, e con la figura dell’analfabeta dell’omonimo componimento, custode della casa e depositario di una cultura arcaica. Se l’opposizione città/campagna è usuale, Lenzini riesce tuttavia a far emergere chiaramente l’originalità dell’appropriazione del motivo da parte di Gozzano: la beata ignoranza dell’analfabeta risente infatti sia dell’ascetismo di Schopenhauer che, in modo più ambiguo, dell’«attraversamento di Nietzsche» (p. 27) comune a larga parte della cultura borghese del primo Novecento. «Altro sentiero tenta al suo rifugio / il bimbo illuso dalle stampe in rame» recitano gli ultimi due versi dell’Analfabeta: un rifugio che si configura come tentativo di ricreare l’esperienza infantile attraverso la poesia, poiché «in quest’area borghese la meta del ritorno, in fondo, è ogni volta la stanza dei bambini» (p. 37).
Nella seconda parte, per studiata asimmetria rispetto alla prima, Lenzini, da un lato restringe il campo scegliendo unicamente testi di poeti italiani, dall’altro lo dilata dedicandosi più distesamente ad ogni componimento in esame. La lente utilizzata, stavolta, è quella del cronotopo della strada, luogo dove si possono fare incontri imprevisti poiché «riunisce quel che il mondo separa» (p. 42). Il lettore assiste così all’incontro tra l’io lirico con la Signora e la Signorina, figure rispettivamente della Morte e della Vita nel poemetto Due strade ancora di Gozzano; al fugace – il tempo di uno sberleffo – incrocio tra un ottuagenario e un bambino, figure agli antipodi sulla linea nel tempo e protagoniste di una tarda lirica di Palazzeschi; o ancora alle apparizioni rivelatorie di due testi di Sereni (Ancora sulla strada di Creva e Autostrada della Cisa); alle passeggiate giovanili, recuperate dal fondo del tempo perduto, della Camera da letto di Bertolucci; per terminare, infine, con due testi di Fortini da Composita solvantur (Incontri nel bosco e L’incontro). In questi estremi componimenti fortiniani Lenzini nota come «l’impianto conoscitivo di cui il cronotopo si faceva carico in Montale o in Sereni [...] viene rigettato, una volta per sempre» (pp. 79-80) poiché l’esperienza della durée risulta squalificata in favore di una visione escatologica. Non resta che concentrare lo sguardo nel tentativo di vedere affiorare qualche indizio del compiersi del futuro: ed anche questa, a ben vedere, è una considerazione che chiama in causa le forme del tempo e del cronotopo.