Recensioni / Il film impossibile di Fellini

«A volte sospetto che non sia un semplice film, ma qualche altra cosa che non sono ancora in grado di comprendere».

Ovvero, quando neanche un regista riesce a vedere il «suo film», allora, facciamo un libro. L'ennesimo? La «pellicola» in questione è quella che Federico Fellini non impressionò mai: «Il viaggio di G. Mastorna» ovvero «La dolce morte». Favola inverosimile, progetto astratto e irrealizzabile. Il nuovo tentativo di ri-leggere l'opera, ripetutamente definita come «il più famoso film su carta della storia del cinema», arriva con l'inaugurazione della collana «Compagnia extra», per le edizioni Quodlibet di Macerata. E si tratta di una pubblicazione che contiene un passaggio inedito, ovvero la trascrizione della sceneggiatura in forma di narrazione continua. Un processo che è avvenuto «senza toccare una sola parola ed eliminando soltanto l'apparato tecnico», come sottolinea Ermanno Cavazzoni, curatore del volume. Lo stesso fu autore del celebre «Poema dei lunatici» che ispirò l'ultimo Fellini. E, dunque, dei viaggi onirici del Maestro ne sa qualcosa.
Nel «Mastorna», Fellini spinge all'estremo la sua poetica visionaria: come dire che la narrazione nasce e si sviluppa come gioco impossibile da mostrare. E siccome anche i profani sanno che la scrittura scenica fa testo a sé, viene da domandarsi se il regista non abbia voluto, in fondo, cimentarsi anche con il genere «letteraratura». Nel senso più anti-cinematografgico del termine. Poichè questo «romanzo» si lascia leggere tutto d'un fiato. E quei famosi «tecnicismi», che ne avrebbero dovuto consentire la trasposizioni filmica, sono gli stessi che, in realtà, hanno sempre impedito di «chiudere» il film. Una storia che fu anche un fumetto, opera di Milo Manara, ma che non potè mai diventare cinema. Se non chiudendo gli occhi e lasciandosi travolgere dai rimandi e dalle interconnessioni mentali, di un fervido e luminoso genio fantastico tra le onde dell'assurdo. Un mondo di sogni allucinati che diviene il testamento-sfida dell'uomo che riuscì a costruire l'impareggiabile arte dell'equilibrio perfetto tra vero e falso. Sogno o son desto? Da cantore junghiano dell'onirico, Fellini sembrò conoscere bene i limiti del suo esperimento.
Alla luce di alcune dichiarazioni, emerge, quella pragmatica consapevolezza che spinge a «non buttare via niente», prerogativa esclusiva dei talenti creativi. Fellini, si può dire, «usò» il «Mastorna» come un serbatoio. Dal momento della prima stesura, era il 1965 e vi collaborarono Brunello Rondi e Dino Buzzati, la sceneggiatura servì da laboratorio per sviluppare idee, che poi sarebbero ritornate nelle opere successive. Un «block notes» interattivo, plasmato a guisa di favola assurda e terrificante che irradia dislessiche sequenze, disintegrandosi ogni volta. Per questo «irrealizzabile», poiché «già realizzato»; carico di tutti quei temi che sono l'opera del cantore d'immagini riminese. La memoria, la caricatura, l'autobiografia. Il tentativo manifesto di spiegare l'orrore del contemporaneo, attraverso la lente deformante delle proprie ossessioni personali.