È fatto di 600 pagine fitte
di pensieri e visioni, il libro di interviste di Gianni Celati pubblicato da QuodIibet. Il transito mite delle parole. Conversazioni e interviste
1974-2014 chiude un lavoro di
molti anni di Marco Belpoliti e
Anna Stefi, iniziato in parallelo a quello del Meridiano
Mondadori con romanzi, cronache e racconti pubblicato
nel 2016 a cura di Nunzia Palmieri. «È stata una caccia al tesoro tra articoli dispersi, na-
stri registrati, sbobinature»,
racconta Marco Belpoliti. «Abbiamo purtroppo pochi materiali sugli anni 70, quelli
dei saggi di Finzioni occidentali
e dei primi romanzi. L’interesse per Celati diventa forte
con l'uscita di Narratori delle
pianure
per Feltrinelli nel
1985».
L'insieme del materiale raccolto ritrae le oscillazioni del
pensiero di questo autore, che
faceva sua l’idea di Antonio
Delfini di attenzione al «disponibile quotidiano», a quello che poteva accadere nella
relazione umana, nella conversazione, nella chiacchiera,
nel vagabondare. Continua
Belpoliti: «Abbiamo fatto leggere le varie stesure del libro a
quel gruppo di amici che intorno a Gianni si incontrava,
Ermanno Cavazzoni, Jean Talon, Daniele Benati, Nunzia
Palmieri... Siamo stati concordi nel rilevare come questo lavoro teorico di messa a punto
fosse quasi più importante di
quello letterario; come ci fosse
un rapporto stretto tra le idee
e lo scrivere; le idee portavano
al libro che poi generava altre idee, altri approfondimenti.
Le interviste sono un momento in cui egli elabora in pubblico la propria poetica».
Il volume, con la copertina
di uno squillante giallo, tesse
fili precisi, proprio seguendo
Celati nelle sue divagazioni,
come per esempio quelle del
bellissimo colloquio con Roberto «Freak» Antoni sui Beatles o di una chiacchierata sull’avventura con due protagonisti della vita culturale bolognese degli anni 70-80, Luca
Torrealta e Mario Zanzani,
l'inventore del festival Angelica. Con «Freak» Celati mette
in contrapposizione «comunicazione» e «verità», intendendo con il primo termine
quei rituali di contatto e di
scambio che erano diffusi nelle società tradizionali, mentre
rileva che «la ricerca spasmodica della verità produce effetti paranoici nella comunicazione stessa», sintetizzano i
curatori.
Contro le etichette lo scrittore suggerisce «fughe di lato», nel poliziesco, nella comicità più banale, contro l’avanguardia ormai museificata. II
«mare dell'anonimità», il rituale, la favola, l’epica sono vie
di salvezza al deserto nel quale
precipita «la narrativa realistica, o d’ispirazione psicologica,
fondata sull'lo», cui oppone,
notano i curatori, «l'idea che
l’interiorità sia solo un modo
attraverso cui "la cultura manipola l'animale umano per
farne un suo membro"».
«La verità ha perso la sua
credibilità» dice Celati; e ancora: «Non c'è verità senza finzione o immaginazione». Alla
distanza comica e cerimoniale dal reale degli anni '70, seguono altre elaborazioni: quella di
«finzioni», di «attesa», di «estraneità», di letteratura come forma di guarigione. Siamo nel romanzi e nelle novelle
che guardano proprio «Il transito mite delle parole», opere
degli anni di osservazioni con
Luigi Ghirri, da Narratori delle
pianure
a Verso la foce . Celati
ripensa al concetto di «tradizione», contro gli svolgimenti
lineari della Storia. Il guardare, il rappresentarsi le apparenze, per lui è un atto dl amore e di immaginazione. «Celati
- continuato i curatori - rifiuta decisamente l'idea del nuovo e pensa che sia piuttosto la
ripetizione dell’esistente la vera forma del nuovo, "che noi
non capiamo perché ci viene
posta in forma teorizzante”».
La realtà è «una superstizione»: «i sentimenti non esistono se non come stati dell'immaginazione». E via ancora,
con un pensiero che nutre le
opere, alimentato a sua volta
con incontri e con pensieri
meditati in quelle lunghissime, sfinenti, camminate che
Io scrittore faceva: un pensiero
che detesta i pedanti e cerca
vie di salvezza nella desolazione della contemporaneità.