Recensioni / Leiris e l’Africa fantasma

C’è un rinnovato interesse, in Francia, intorno alla figura di Michel Leiris (1901-1990), ed è, almeno in parte, connesso al dibattito sulla restituzione e all'ormai celebre discorso pronunciato da Emmanuel Macron a Ouagadougou nel 2017, discorso in cui il ritorno in Africa dei manufatti artistici e culturali sottratti nel periodo coloniale è stato definito «una priorità». Anche in Italia, seppur in contesti di nicchia, si sta tornando a parlare di questo singolare scrittore surrealista fattosi etnologo, in particolare in relazione a L'Afrique fantôme, il diario di viaggio steso durante la missione Dakar-Gibuti del 1931- 33, che fece indignare l'establishment accademico del tempo e fu messo al bando negli anni della repubblica di Vichy.
Pubblicato una prima volta nel 1984 da Rizzoli e ormai introvabile, la casa editrice Quodlibet-Humboldt lo ha riproposto nel 2020 in una edizione curata dall'africanista Barbara Fiore e intitolata L'Africa fantasma, mentre Meltemi, nella sua collana di antropologia, ha da poche settimane portato in libreria Michel Leiris etnologo, a firma del sociologo delle religioni Renzo Guolo.
Come evidenziato da quest'ultimo, il principale merito di Leiris in campo antropologico è senz'altro avere mostrato con anticipo sui tempi le contraddizioni della disciplina (gli etnologi che in pratica vanno a depredare quelle culture che dicono di voler proteggere) e la sua impossibile oggettività. Ricordiamo che i diari di Bronislaw Malinowski, anch'essi rivelatori da questo punto di vista, usciranno postumi solo nel 1967. Ma il contributo maggiore, in termini assoluti, riguarda l'arte africana, il suo riconoscimento e la sua valorizzazione fuori dal recinto dell'artigianato e dell'etnografia.
La Dakar-Gibuti, pietra miliare dell'antropologia francese e guidata da Marcel Griaule, era stata voluta e finanziata dal governo col supporto di sponsor illustri. Doveva servire essenzialmente a colmare il ritardo di Parigi nel campo delle grandi esplorazioni naturalistico-etnografiche e a recuperare materiale per le collezioni africane dei musei francesi. Griaule, allievo di Marcel Mauss, aveva messo a punto un metodo di lavoro che contemplava la presenza sul campo, contemporanea e intensiva, di più operatori. Ciascuno avrebbe dovuto raccogliere più informazioni e documentazione materiale possibile, rinviando a un momento successivo l'interpretazione. Per ottenere le "prove" documentali tutto era lecito: persuasione, manipolazione, minaccia, inganno. La ricerca etnografica era intesa come una sorella esotica di quella poliziesca, e veniva fatta muovere da presupposti analoghi. Per esempio, dalla convinzione che la parte più interessante del racconto del nativo fosse sempre quella che non veniva detta e che lì dunque bisognasse puntare... Il ministero delle colonie aveva d'altra parte accordato a Griaule una sorta di permesso di cattura scientifica rispetto al territorio attraversato.
Leiris, che era stato cooptato in qualità di segretario-archivista con licenza di esplorare alcuni ambiti ma non aveva ancora una formazione antropologica, si era sentito subito a disagio in quest'organizzazione. Il contatto con l'Africa era stato da subito ambivalente. Leiris aveva scoperto presto che non esistevano neri "incontaminati" e territori altri in cui smarrirsi e ritrovarsi. Per quanto intriso anche lui di mentalità e fascinazione coloniale, aveva obiettivi diversi dai suoi compagni di viaggio: interessi filosofici, letterari, esistenziali.
L'Africa non era un luogo da saccheggiare in una prospettiva materiale, ma il continente primitivo a cui rivolgersi per vivificare la propria anima e prepararsi a contrastare con maggiore efficacia la società occidentale, la sua vacuità e i suoi simboli artificiali. Nella quarta di copertina dell'edizione del 1934 di L'Afrique fantôme, il significato che Leiris aveva dato al viaggio e il successivo portato di delusione sono espressi in modo chiaro. «Un'avventura poetica, un metodo di conoscenza concreta, una prova, un mezzo simbolico per fermare la vecchiaia percorrendo lo spazio per negare il tempo». Ma l'avventura poetica si sarebbe rivelata «un fallimentare tentativo di evasione». Perché «qui come altrove, l'uomo non può sfuggire al suo isolamento».
La sua delusione è mitigata dall'interesse per il sacro. «Ciò che lo fa palpitare di più», scrive Guolo, «è scoprire le tracce di quel sacro non cristallizzato nelle religioni istituzionalizzate, un sacro senza divinità, fluido, intimamente legato alla trasgressione». Ma Griaule, da lui, non vuole palpitazioni. Si aspetta un diario di bordo puntuale e asettico, funzionale agli scopi della missione. Quello che Leiris va compilando, pagina dopo pagina, è un testo completamente diverso. L'autore riflette sulle condizioni di possibilità dell'antropologia, sull'esistenza e la portata dell'arte africana, racconta il proprio personale coinvolgimento nelle relazioni con gli autoctoni (con effetti che richiamano pur nella diversità il Cuore di tenebra di Joseph Conrad) e l'impossibilità dell'incontro ma soprattutto - ed è questo l'aspetto che oggi sembra Interessare di più l'opinione pubblica - documenta i furti sacrileghi compiuti durante la Dakar-Gibuti. Furti, in alcuni casi, messi in atto da Leiris stesso, su disposizione di Griaule. Uno di questi ha ispirato un'opera teatrale di recente successo: Le vol du boli, realizzata dal regista Abderrahmane Sissako e dal musicista Damon Albarn, per il Théâtre du Châtelet di Parigi.
LAfrica favolosa vagheggiata da Leiris, contrapposta a quella ferita e incomunicabile incontrata sulla Dakar-Gibuti, è il filo conduttore anche del documentario Dakar-Djibouti 1931, le butin du musée de l'Homme firmato dal regista Marc Petitjean e trasmesso dai canali Arte e TV5. Si tratta di un documentario asciutto che, in 58 minuti, a partire da immagini di archivio, ricostruisce la missione nelle sue pieghe di ambiguità che non risparmiano nessuno dei protagonisti, Leiris compreso. PetitJean da ragazzo aveva avuto modo di conoscerlo e apprezzarlo. L'idea di parlare della Dakar-Gibuti a partire da L'Afrique fantôme gli era venuta in tempi non sospetti, all'inizio degli anni 2000. Ma il soggetto all'epoca non era stato considerato interessante. Ma adesso il vento è cambiato e la restituzione fa notizia.