Recensioni / I ventidue luoghi dello spirito

I luoghi dello spirito che Isabella Ducrot evoca in questa raccolta fatta di brevi racconti filosofici, di ricordi, di riflessioni, di versi, si manifestano quando la superficie e la profondità delle cose riescono a dialogare e a rivelare, come avveniva per Virginia Woolf nei suoi "momenti di essere", prospettive inaspettate su di sé e sul mondo. A quei luoghi, che sono in grado di far vacillare e poi di riedificare la precaria costruzione che chiamiamo identità, si accede quasi sempre in modo inatteso, più che per intenzione, e l'occasione può essere un fatto minimo, scontato, futile. Il ricordo del nastro di gros-grain e velluto che la nonna portava al collo, e che la trasformava in una regina, muove all'improvviso i pensieri verso il bisogno filosofico di capire dove sia finito e che forma abbia preso, dopo la morte, il mondo di affetti e di grazia che la nonna incarnava. Le parole pronunciate da una donna povera di mezzi e di rapporti, la cui esistenza è talmente monocorde da apparire derelitta - "Se dovessi tornare a nascere vorrei rivivere questa stessa vita", dice invece un giorno, come in risposta a una domanda che nessuno le ha rivolto - possono provocare vertigini, minare per sempre il sistema di certezze che identifica la felicità con la ricchezza di avvenimenti, di relazioni, di occasioni di cui è possibile godere. Il tovagliolo nel quale i giovani novizi di un monastero buddista raccolgono avanzi di riso imbevuto di sugo nero, e che mettono sotto la veste, a contatto con la pelle, per conservare il calore del cibo fino a sera, dispiega inopinatamente di fronte agli occhi dell'autriIsabella Ducrot I ventidue luoghi dello spirito Quodlibet, 128 pp., 14 euro E , il 1889 e Nellie Bly, prima giornalista investigativa donna, decide di battere il record di Phileas Fogg del giro del mondo in meno di 80 giorni. "E' impossibile tu possa farlo. In primo luogo, sei una donna, avresti bisogno di una protezione e dovresti portare così tanto bagaglio che non riusciresti a spostarti velocemente - risponde l'editore. Nessuno tranne un uomo può farlo". Invece, alla fine, parte lei: da sola gira il mondo in 72 giorni, 6 ore, 11 minuti, 14 secondi e dopo la grandiosità del risultato il New York World la definisce "intrepida viaggiatrice", aggiungendo un dettaglio estremamente rilevante: "In sottogonna". L'urgenza del saggio pubblicato da Edizioni Tlon, Donne in viaggio. Storie e itinerari di emancipazione di Lucie Azema, giornalista, viaggiatrice e femminista, si può estendere tra queste due affermazioni. Da una parte l'intraprendenza di una donna che viene screditata - in quanto donna - nel voler compiere un viaggio da sola e dall'altra la legittimazione dell'utilizzo di un immaginario relegato a stereotipi di genere. Il libro è una geografia essenziale e ambiziosa di un continente emotivo, sociale e culturale, quello della "libertà solitaria, abitato da donne avventuriere che realizzano i loro sogni di viaggi". L'autrice accompagna lettrici e lettori in una riflessione sull'accesso delle donne alla dimensione del viaggio - argomento ancora poco indagato dagli studi femministi - decostruendo e decolonizzando la prospettiva dell'esplorazione come atto prettamente maschile. Da Alexandra David-Néel ad Anita Conti, da Mary Read ad Annemarie Schwarzenbach, si parla di donne pioniere della storia ce, in visita al monastero con un gruppo di amici, l'illusione su cui si basano certe convenzioni ritenute universali. I ventidue luoghi dello spirito di Isabella Ducrot - lo stesso numero delle lettere dell'alfabeto ebraico già richiama qualcosa di concluso e di infinito - appaiono come altrettanti punti segnati su una mappa spazio-temporale; "mappa" è parola ricorrente nel libro, nel suo originario significato latino di tovagliolo, di quadrato di tessuto che protegge e che raccoglie qualcosa che può essere trascurabile (pochi avanzi di riso) ma rivelarsi vitale (è l'unico cibo che sfama i novizi). La limpida scrittura di Isabella Ducrot è un'avventura alla scoperta dei modi in cui la trama della realtà può lacerarsi e ricomporsi, rendendo insignificante quel che appariva essenziale, e viceversa.