Recensioni / Storia della filosofia (idealismo), Filosofia politica, Filosofia della storia

Weltgeschichte in Hegel: una questione di merito e una di metodo: così potrebbe intitolarsi questa breve recensione al testo di Rodeschini. E tuttavia sarebbe assai riduttivo, poiché l’autrice interseca virtuosamente i due piani, facendoli continuamente interagire. Restituendo un’originale e complessa reinterpretazione e riattualizzazione della filosofia politica del Nostro.
Il nodo teoretico di fondo che viene indagato è non tanto e non solo il ruolo che l’istituzione statuale ricopre nel quadro della moderna ‘mondialità’, ma piuttosto la capacità propria dello Stato-nazione di fare sé stesso, cioè la propria storia, intesa hegelianamente come Gegenwart, storia effettualmente presente; come un risultato che è razionale perché portato, hic et nunc, a effetto. E, in questo preciso senso, conoscibile nella sua interezza. Da cui, la storia del mondo hegeliana non avrebbe una linearità  imposta come dall’alto da qualcuno (il filosofo) o da qualcosa (la logica), ma sarebbe il risultato sempre in fieri dei rapporti fra gli Stati, i veri individui storico-mondiali. La mondialità presenterebbe tuttavia, proprio nel solco della sua razionalità-effettualità garantita dalla politica degli Stati, caratteristiche di essenziale irrazionalità: il Naturzustand, la violenza dello stato-di-natura, assume volto reale – dice Hegel – proprio nello scacchiere internazionale del mondo. Finanche all’interno dello Stato, mette bene in luce Rodeschini, non abbiamo una forzatura di razionalizzazione o di autofondazione scevra da contraddizioni e aporie – addirittura l’origine stessa dello Stato è dichiarata violenta da Hegel. E, sebbene egli si emancipi da tutte le difficoltà insite nell’origine contrattualistica dello Stato (che quella originaria violenza misconosce e dissimula), muovendo – Riedel ci insegna – una decisa critica al modello giusnaturalistico moderno, tuttavia è da considerarsi problematicamente la presenza dell’individuo nello Stato hegeliano. Sebbene cioè il rapporto fra individuo e Stato non sussista come tale nella architettonica politica di Hegel – ricordiamo la funzione mediatrice degli Stände –agli individui è affidata l’istanza soggettiva di quell’istituzione oggettiva che è lo Stato moderno: essi non solo partecipano delle istituzioni in quanto soggetti politici a tutti gli effetti riconosciuti, ma in loro e da loro è posta quella Gesinnung politica (volgarmente il patriottismo, o meglio la disposizione d’animo al riconoscimento e alla conservazione dell’unità statuale istituita) che fa dello Stato una nazione e/o un Volk. Tutto questo si presenta come problema di ordine squisitamente politico, ovvero come problema che il politico cova entro di sé. Ciò che l’autrice mette in risalto sono i termini hegeliani di autolegittimazione del potere politico, di autogiustificazione; e questo non vuol dire giustificazionismo del presente o del governo prussiano. Viceversa, qui si intende la dinamica di autofondazione dell’istituto statuale moderno – il potere dello Stato – nella storia presente: una storia che continua a protrarsi fino a noi.
Ricordiamo l’incipit della Rechtsphilosophie del 1821, dove Hegel ci tiene e a precisare che: “Questo trattato, in quanto contiene la scienza dello stato, dev’essere nient’altro che il tentativo di comprendere e di esporre lo stato come un qualcosa entro di sé razionale. Come scritto filosofico esso non può far altro che essere lontanissimo dal dover costituire uno stato come dev’essere; l’insegnamento che in tale scritto può risiedere, non può tendere ad insegnare allo stato com’esso dev’essere, bensì piuttosto com’esso, l’universo etico, deve venir conosciuto”. E questo per dire che – almeno nelle intenzioni – la filosofia politica hegeliana e soprattutto lo Stato hegeliano non si presenta come un modello da seguire, ovvero un modello teorico da applicare al corso della storia; viceversa esso è un fatto di ragione, un dato di fatto sul quale siamo chiamati a riflettere, proprio in quanto è, innanzitutto, opera nostra.
Il testo di Rodeschini ha il merito di sganciare definitivamente, se mai ve ne fosse ancora bisogno, lo Stato hegeliano da espressioni quali ‘Stato etico’, totalitario o totalizzante, e via dicendo. È questo un lavoro di definitivo svecchiamento della letteratura critica secondaria sul pensiero etico-politico hegeliano. In nota, l’autrice restituisce via via, con completezza d’indagine, i testi necessari per una approfondita rilettura del tema da lei proposto.
Il rigore d’analisi si accompagna a una proposta interpretativa forte. Qui, in effetti, non abbiamo a che fare altro che con noi stessi: la riflessività del prodotto politico-istituzionale principale della storia moderna, la capacità autoriflessiva attribuita da Hegel allo Stato, fa capire che abbiamo a che fare con un soggetto, prima che con un oggetto. E così, proprio come un soggetto storico e quindi razionale, lo Stato va trattato, nel bene e nel male. Razionalità, è il caso di ripeterlo, è effettualità, sulla quale non valgono giudizi di valore (buono e cattivo, giusto e ingiusto), ma riflessioni disposte a comprendere la contraddizione insita in essa e cioè la presenza o persistenza del contingente nel necessario: è questo il vasto campo in cui si esercita la prassi politica moderna, costantemente impegnata in movenze autoriflessive, le quali possono assumere forme ragionevoli e soddisfacenti ma anche povere di spirito ed essenzialmente finite.
In questo senso, la filosofia politica di stampo hegeliano, che viene tra le righe ridefinita dall’autrice, assume una valenza altamente teoretica e, diremmo, liberatoria: “Il motivo conduttore di questa ricerca sul materiale ancora inedito della filosofia della storia, muove dall’intento di studiare come Hegel metta a punto, sulla scorta di un’impostazione sistematica generale che rimane costante negli anni berlinesi, la sua analisi della modernità politica e la natura dei conflitti del mondo presente, a partire non dal punto di vista speculativo della scienza dello Stato, bensì attraverso l’occhio di chi cerca di trovare una razionalità nei conflitti reali. L’idea è qui che seguire la linea di sviluppo della riflessione hegeliana sulla storia sia essenziale, oltre che ad evitare fraintendimenti dovuti alla penna del curatore, anche a far emergere alcune tensioni interne del sistema e della nozione hegeliana di politica” (p. 30). Tali tensioni sono essenzialmente riconducibili da una parte alla nozione ambigua, eppure storicamente fondata (sulla Riforma protestante) e fondante (della legittimità del potere politico), di religiöse und politische Gesinnung, e d’altra parte al ruolo aporetico-conflittuale assunto dal mondo dell’economia in età moderna: “La soglia alla quale Hegel conduce il problema della legittimità politica si caratterizza per il vincolo di oggettività reale che lega gli elementi chiamati a fondare la razionalità delle istituzioni. La filosofia pratica di Hegel giunge così a riconoscere che una politica fondata sulla semplice relazione tra il cittadino-elettore e lo Stato è di fronte ad un problema che il modello contrattualistico non riesce a risolvere: il conflitto politico e quello sociale sono determinati da quell’interesse di natura contingente che è l’interesse economico” (p. 271).
La tematica è nota – almeno agli hegelisti: non esiste una Filosofia della storia hegeliana; cioè non esiste un testo a stampa o almeno un manoscritto redatto da Hegel che esponga dall’inizio alla fine, una volta per tutte, svelandone eventuali chiusure o inaspettate aperture, la storia del mondo o la cosmostoria hegeliana. “In questa operazione interpretativa, quindi, ci si trova inevitabilmente nella dubbia situazione di avere valutato la nozione hegeliana di storia in base a manoscritti della cui autenticità non ci sono prove evidenti” (p. 27).