Robert Venturi e l'Italia costituisce la rielaborazione
di una ricerca dottorale condotta da Rosa Sessa, che ha
lavorato in particolare sui documenti conservati presso
la vasta e ricchissima Venturi Scott Brown Collection
degli Architectural Archives della University of Pennsylvania.
Il libro, così come la ricerca che lo ha generato,
approfondisce gli anni di formazione di Robert
Venturi e gli esordi e nella sua attività di studioso nel
campo dell'architettura, fino al 1966, anno di pubblicazione
di Complexity and Contradiction in Architecture, primo, dirompente, testo dell'architetto di Filadelfia;
in particolare la questione su cui si concentra il lavoro
di Sessa è lo sviluppo dell'interesse di Venturi per le
architetture e le città italiane e il ruolo che questo interesse
ha avuto nel delinearsi delle posizioni teoriche
e della produzione progettuale. Questo approccio si
inserisce con una certa rilevanza e originalità nell'ambito
delle ricerche e dei volumi dedicati all'opera di
Venturi. Se infatti non sono moltissimi coloro che hanno
saputo mettere in relazione in modo convincente
le ricerche storiche dell'architetto americano con la
propria produzione teorica e architettonica - tra gli
altri si possono ricordare, oltre a Vincent Scully, David
Brownlee, David De Long, Carolina Vaccaro e Stanislaus
Von Moos - ancora meno sono gli studiosi che
hanno affrontato il nodo storico-critico rappresentato
dal ruolo dei primi viaggi e soggiorni italiani basandosi
sulla diretta consultazione dei documenti d'archivio
relativi a tali esperienze. Nell'esiguo novero di lavori con tali caratteristiche rientrano quelli di Martino
Stierli, Smilja Milovanovic-Bertram e Denise Costanzo.
Ad essi con questo libro si affianca e si intreccia una
voce esterna all'ambito statunitense - seppur in stretta
e consapevole relazione con esso - tanto più preziosa in
quanto proveniente dall'Italia, ovvero dal contesto che
ha avuto una parte - decisiva, suggerisce Rosa Sessa
- nella formazione di Venturi; per restituire la complessità
e dipanare le contraddizioni dell'architetto di
Filadelfìa gioverà probabilmente poter incrociare gli
sguardi provenienti dalla sponda occidentale dell'Atlantico
con altri occhi che osservano dal cuore del Mediterraneo.
Proprio Denise Costanzo ha firmato l'Introduzione
al volume di Rosa Sessa - aperto da una Prefazione a
firma di Andrea Maglio e Fabio Mangone, già relatori
della Tesi di Dottorato - riconoscendone la rilevanza
del contributo nell 'ambito agli studi su Venturi. Si può
concordare con l'analogia proposta dalla studiosa americana:
Robert Venturi e l'Italia assomiglia ad un "ritratto
a mosaico", costruito attraverso l'uso di fonti eterogenee
e tra loro complementari: alla consultazione dei già
menzionati materiali d'archivio, l'autrice ha affiancato
un significativo corpus di interviste - una conversazione
con Denise Scott Brown è riportata per intero a conclusione
del libro -, un'analisi serrata dei testi di Venturi
(in primo luogo Complexity and Contradiction in Architecture,
ma anche molti altri scritti, in gran parte pubblicati
nella raccolta Iconography and Electronics upon a
Generic Architecture: A View from the Drafting Room) così
come di alcuni tra i primi progetti di architettura, e un
puntuale confronto con la letteratura storico-critica relativa
all'architetto di Philadelphia, in particolare con
le opere prodotte dagli autori cui già si è fatto cenno.
Il lavoro di Rosa Sessa si configura come una verifica
di tali studi alla luce delle fonti documentali dirette
(in particolare quelle di carattere epistolare) e insieme
come un tentativo di sistematizzazione compiuto per
mezzo dei documenti d'archivio stessi, che finiscono
così per costituire non solo le tessere del mosaico, ma
anche e soprattutto un legante capace di tenere insieme
il resto delle fonti (e le interpretazioni ad esse relative),
un tessuto connettivo fatto di osservazioni minute,
accenni sottili, sfumature di tono, che colma le zone
d'ombra tra i passaggi più rilevanti - e talvolta sorprendenti
- della formazione di Venturi, e avvicina tra loro e mettere in relazione aspetti apparentemente distanti,
sostanziandone una plausibile lettura critica. Ci
riferiamo per esempio alla profonda fascinazione per la
qualità urbana delle città europee del periodo romano
e il successivo, e altrettanto profondo, interesse per la
banale ordinarietà di main street e suburb americani. Ciò
che accomuna queste due fasi è il metodo di analisi
dello spazio urbano, messo a punto laddove il contesto
è maggiormente carico di significati stratificati - la
città italiana - ma in seguito applicato laddove esso
può fornire i risultati più originali, oltre che produttivi
sotto il profilo professionale: come riconosce egli stesso
e come Sessa contribuisce a confermare, Venturi ha appreso
"per mezzo" di Roma, più che da essa; "By Means
of Rome" è precisamente il titolo - tratto dallo scritto
di Venturi Notes for a Lecture Celebrating the Centennial of
the American Academy in Rome Delivered in Chicago - della
tesi dottorale da cui discende il libro qui recensito.
L'accertamento, convincente, che l'autrice ha condotto
sul ruolo delle esperienze italiane aiuterà probabilmente
a riequilibrare il baricentro critico, collocato da buona
parte della storiografia - tra gli altri Manfredo Tafuri
e Kenneth Frampton - sul carattere prettamente
"americano" dell'approccio di Venturi all'architettura.
Inoltre Robert Venturi e l'Italia ridimensiona l'influenza
diretta di Louis Kahn - adombrata per esempio da
William J. Curtis - sull'importanza dell'Italia nella
formazione del proprio giovane amico e collaboratore,
sino ad ipotizzare un parziale ribaltamento dei ruoli
e un effetto "di ritorno" delle esperienze dell'allievo
sulla traiettoria professibnale del maestro. Se però l'indagine
sul significato e sul ruolo dei soggiorni italiani
nella formazione culturale e professionale di Venturi,
che occupa i primi cinque capitoli del volume, ci pare
costituisca una tappa decisiva nelle ricerche in ambito
storico sull'architetto americano, il capitolo conclusivo,
e in particolare proprio le parti di questo dedicate
alle relazioni tra Venturi e Kahn e all'analisi delle prime
esperienze professionali autonome, sembra invece
rappresentare un punto di partenza - ancora suscettibile
di verifiche, affinamenti e approfondimenti - per
l'auspicabile formulazione di analisi più aggiornate.
D'altronde uno dei meriti più rilevanti del volume nel
suo complesso è precisamente quello di aver prodotto
un contributo significativo ad una (necessaria) opera
di sottrazione della figura di Venturi all'ambito e ai
metodi della critica e della teoria di architettura - e
talvolta alle tensioni non ancor del tutto sopite delle
polemiche - che ne consenta una più serena storicizzazione
tesa, prima ancora che a definire il significato
e il ruolo della produzione teorica e professionale
dell'architetto americano, ad approfondirne e chiarirne
la genesi e l'evoluzione.
Accanto alla rilevanza di Robert Venturi e l'Italia in
relazione allo specifico oggetto della trattazione, vi
sono anche aspetti più generali per cui il libro appare
degno di interesse, su cui si possono formulare in questa
sede alcune considerazioni.
La prima questione è legata all'ambito della ricerca
storica in cui questo volume potrebbe essere
iscritto. Ciò che appare come una (parziale) biografia,
potrebbe infatti al tempo stesso essere assegnato a
buon diritto al campo della storia delle idee; ciò non
desta stupore, appartenendo Venturi al novero degli
architetti intellettuali, rilevanti tanto nella veste di
produttori di progetti quanto in quella di produttori
di idee. Non si tratta di un grande affresco, ma di una
micro-storia, seppur ben inserita in più ampio contesto;
la ridotta scala a cui viene condotta l'indagine
non è solo quella dell'arco di tempo a cui si riferisce,
ma anche quella dei dettagli passati minuziosamente
al vaglio dall 'autrice per formulare le proprie ipotesi:
un cenno in una lettera, l'inquadratura in una fotografia
di viaggio, il tono della madre nel rivolgersi
al giovane Venturi, le visite a edifici significativi
compiute con il padre nel corso dell'infanzia. Non si
tratta neppure di un'astratta storia di concetti, ma
di una sorta di "storia materiale" delle idee, che contribuisce
a mostrare come queste siano dotate di una
propria rilevante concretezza; val la pena soffermarsi
su qualche esempio tratto da Robert Venturi e l'Italia.
Le idee abitano luoghi fisici, come un'istituzione
universitaria - si pensi alla rilevanza della peculiare
educazione Beaux-Arts impartita a Princeton rispetto
al modernismo ortodosso di gran parte delle scuole di
architettura negli anni '40 e '50 - o come la libreria
di una famiglia: i volumi di storia dell'arte di Robert
sr. e Vanna ebbero con tutta probabilità un ruolo
importante nell'interesse del futuro architetto nei
confronti dell'Italia. Le idee si muovono da un luogo
all'altro, seguendo chi le porta con sé - come Jean
Labatut che attraversò l'oceano per finire a insegnare
proprio a Princeton, o come lo stesso Venturi che
fece ritorno a Filadelfia impregnato delle riflessioni
prodotte nel corso dei propri soggiorni italiani. Le
idee, come le piante, crescono se il terreno è fertile,
magari perché precocemente irrorato dalla vivacità
intellettuale e dall'amore per il bello di una coppia di
genitori. Le idee talvolta nascono in modo fortuito e
prosaico, per esempio nel corso delle conversazioni tra
compagni di studi: grazie ad un amico, Philip Finkelpearl,
Venturi si interessò al concetto di ambiguità
utilizzato dal critico letterario William Empson per
poi farne, vent'anni dopo, una delle proprie chiavi
di lettura della composizione architettonica; un altro
compagno dei tempi universitari, William Weave
- studente di letteratura come anche Finkelpearl
- esortò l'amico architetto a visitare l'Italia, da lui
conosciuta e visitata durante e dopo la guerra: "Come
to Rome when you can. [ ... }. Life in Rome cannot
help but stimulate and educate anyone with two eyes
and a head".
Spesso poi le idee si progettano e si costruiscono
come edifici: è il caso di Robert sr. e Vanna, che orientarono programmaticamente la propria vita e l'educazione
del figlio prendendo la decisione di convertirsi
dal cattolicesimo, retaggio delle origini italiane, al
quaccherismo, sulla base di ragionate considerazioni di
natura etica e politica; è anche il caso di Robert jr., che
strutturò consapevolmente il primo viaggio in Italia
(1948) come un importante momento di verifica della
propria formazione universitaria e che in seguito proseguirà
tenacemente a sviluppare le intuizioni maturate
nel corso del viaggio, in prima battuta attraverso
la redazione della tesi di laurea (Context in Architectural
Composition, 1950), quindi con il soggiorno presso
l'American Academy in Rome (1954-56) - fortemente
voluto e conquistato faticosamente - e infine con i
primi progetti e soprattutto con la pubblicazione di
Complexity and Contradiction in Architecture (1966).
Come si evince da alcuni degli esempi menzionati,
quello di Rosa Sessa potrebbe anche essere descritto
come un lavoro di (micro)archeologia delle idee, che
prova a rintracciare sin nel profondo dell'infanzia (e
ancor oltre nell'orientamento culturale della famiglia)
le radici degli interessi e delle inclinazioni che ebbero
una parte nell 'evoluzione intellettuale di Venturi. Ciò
non ha condotto però l'autrice a cadere nelle trappole
dell'essenzialismo o quantomeno di un'interpretazione
semplicistica dell'origini italiane dei Venturi e dei Luisi
(il cognome di Vanna): viene invece indagata e precisata
la natura mediata del rapporto del nucleo famigliare di
Robert jr. con l'Italia, che si giocò tutta sul piano culturale.
Robert sr. e Vanna "rinunciano deliberatamente
ai tre aspetti più riconoscibili di ogni comunità di
espatriati: l'uso quotidiano della lingua d'origine o del
dialetto, la persistenza della religione e dei riti tradizionali,
l'attaccamento alla cucina regionale", come risulta
evidente dall'educazione del giovane Bob "che parla solo
inglese, che pratica la fede dei quaccheri e al quale è
concesso mangiare la pasta solo come un 'eccezione alla
rigida dieta salutista imposta dalla madre".
Inoltre, per tornare ancora brevemente alla questione
dell 'approccio "materiale" alla storia delle idee, dal
lavoro di Sessa emerge l'attenzione alla componente
visiva nell'origine delle posizioni teoriche che Venturi
consolidò nei propri anni di formazione, le quali rivelano
un forte legame con esperienze di percezione diretta
di edifici o spazi urbani. Risulta dunque significativo
che in Robert Venturi e l'Italia l'apparato iconografico, costituito
in larga parte da fotografie scattate dallo stesso
Venturi, non rappresenti soltanto un commento alla ricostruzione
delle esperienze italiane, ma contribuisca in
modo rilevante a restituire il metodo con cui l'architetto
americano studiava l'architettura e la città. Oltre alle
numerose immagini che corredano il testo dei sei capitoli,
il volume comprende un'intera sezione dedicata al
Venturi fotografo (Immagini dall'Italia), che raggruppa
una serie di scatti a colori risalenti al biennio trascorso
presso l'American Academy in Rome, conservati presso
gli Architectural Archives dell'University of Pennsylvania
e non ancora catalogati; tali fotografie furono utilizzate
da Venturi come diapositive in occasione delle
lezioni tenute tra il 1961 e il 1965 per il corso Theories
of Architecture e illustrano quindi lo stretto legame tra
lo sguardo che si posa sugli spazi e la successiva definizione
di concetti e categorie interpretativi. Se la teoria
è etimologicamente una "visione", talvolta la teoria di
architettura scaturisce da una reale opera di osservazione
rivolta ad una specifica porzione di realtà. È così per le
tesi esposte in Complexity and Contradiction in Architecture,
che nacquero anche, come Rosa Sessa ha contribuito
a chiarire, dalle "dalle lunghe e lente passeggiate" romane
attraverso cui viene assorbita da Venturi la peculiare
qualità dello spazio urbano; sarà così anche per Learning
from Las Vegas (1972), nella costruzione del quale le campagne
fotografiche giocarono un ruolo fondamentale. Il
carattere spiazzante della scelta dell'oggetto dell' osservazione
è parte della fortuna dirompente che ebbero entrambi
i libri; in questa sede ci riferiamo in particolare
al programma, quasi eretico nell'immediato dopoguerra
dominato dall'International Style, di dedicarsi allo studio
dell'architettura italiana d'ancien regime, tantopiù
nell'ambito di un'istituzione dalla fama conservatrice
come l'American Academy, seppur, come ricorda anche
Rosa Sessa, rinnovata sotto la direzione di Laurance Roberts
(alla guida dell'istituzione dal 1946).
A tal proposito Robert Venturi e l'Italia aiuta a delineare
le ragioni di questa decisione perseguita con
ostinazione e le modalità con cui venne applicata, chiarendone
lo spirito progressista e pragmatico - e non
passatista - con cui Venturi orientò il proprio sguardo
di studioso: "I feel that an architect, to be progressive,
must be conscious of his heritage " scrisse egli stesso
nella domanda per il Rome Prize. Ad un livello più
generale e al di là dell'interesse storico che esso riveste,
il libro può inoltre costituire, in ragione di questi
aspetti, una lettura rivelatrice per architetti e studiosi
in formazione, capace di mostrare come la propria
identità culturale, le proprie posizioni intellettuali e
anche la propria attività professionale possano essere
costruiti - per tornare ad una questione già accennata
in questa recensione - a partire da lontano - sin dai
primi anni universitari - attraverso scelte programmatiche
coraggiose e lungimiranti e programmi di
ricerca a medio e lungo termine coltivati con costanza
e passione. L'approccio di Robert Venturi alla propria
educazione architettonica resta probabilmente un modello
di una certa attualità e la scrittura di Rosa Sessa,
brillante pur senza tradire il carattere scientifico del
proprio lavoro, contribuisce a conservarne la freschezza
e la sorprendente originalità. D'altronde la vicenda
stessa costituisce in fondo un romanzo di formazione,
che l'autrice ha saputo raccontare - senza che la sobrietà
dello stile cedesse alla retorica - in maniera avvincente,
mantenendo così quella - produttiva, a nostro
giudizio - ambiguità semantica che la lingua italiana
(a differenza di quella inglese) attribuisce al termine
"storia", riferibile sia allo studio del passato (history)
che ad un racconto letterario di accadimenti (story).
A coinvolgere ulteriormente chi legge a ben vedere è
la sensazione, percepibile tra le righe, che un analogo
coinvolgimento abbia segnato chi lo ha scritto: risalendo
le tracce italiane di Venturi, ha finito per esperire
- giovane ricercatrice alle prese con il "viaggio in
America" - una situazione analoga (seppur all'inverso)
a quella del proprio oggetto di indagine.