Nelle pagine illuminanti di
questo saggio l'autore segue le
vicende giuridiche del primato
della proprietà per proporre
un approccio «proceduralista,
più che sostanzialista, al diritto
romano» (p. 21). Di fatto egli
mostra come, e con quali tecniche e mezzi, «si è prodotta
la messa in forma astratta della
nostra società» (p. 22) perché l'intuizione di fondo, per
quanto sia assolutamente inadeguato parlare solo di intuizione per Thomas, è quella che
ci riporta ad uno dei fondamentali del diritto così come lo
conosciamo dai Romani e, dopo il Medioevo, di nuovo nella
concezione moderna. Si tratta
del diritto come piano di astrazione dalla realtà sostanziale, o
meglio, del piano del giuridico
come diverso dal piano della
vita. Un valore condiviso, o se
vogliamo, la credenza condivisa su cui abbiamo costruito
la nostra società e tutte le sue
articolazioni e trasformazioni.
Nel saggio Thomas esamina a partire dal Corpus iuris
civilis la costituzione giuridica
delle cose, ovvero le procedure
costruite perché le cose fossero qualificate e valutate come
beni. Cose (res) con un valore
e scambiabili dunque, oppure
cose non appropriabili perché
sin dall'inizio (con delle apposite procedure) destinate agli
dei o alla città (res nullius proprio in quest'ultimo senso).
Si tratta dell'apposizione
di un limite all'appropriazione che in quanto funzionale a
'sacralizzare' e a 'riservare' da
un lato è servita a rafforzare il
diritto che comunque in quanto pone (o sposta sempre più
in là) il limite del suo agire, si
autolegittima, ma dall'altro è
servita a fondare il carattere
perpetuo dell'indisponibilità
delle cose che i giuristi connettevano alla loro 'destinazione' e non a qualche titolarità
statale o al titolo di proprietà.
Nella documentazione di
epoca romana «il diritto isolava, nel vasto spazio lasciato
ai domini e agli scambi privati,
uno spazio di appropriazione collettiva qualificato come
inappropriabile, secondo il
doppio registro del pubblico e
del sacro» (pp. 27-8) e i servizi e i limiti stessi di luoghi e
cose sono definiti da un Magistrato e non dalla natura delle
cose, pertanto effettivamente
da procedure, come dicevamo
all'inizio, che servono a sottrarre alcune cose dal novero
delle merci. Il saggio principale è seguito da L'artificio delle
istituzioni, tradotto per la prima volta dopo essere apparso
come 'Prefazione' alla raccolta
di saggi dell'autore pubblicata
in Argentina con il titolo Los
Artificios de las instituciones.
Estudios de derecho romano, Eudeba, Buenos Aires, pp. 9-12.
L'edizione è introdotta
da una Prefazione di Giorgio
Agamben (Tra il diritto e la vita)
e da una Postfazione del curatore Michele Spanò (Le parole e
le cose del diritto).