L'immagine del paesaggio industriale
che ci è più familiare è quella che, consolidatasi subito dopo l'invenzione della fotografia, è rimasta stabile in
tutta Europa per oltre un secolo, e
ci descrive le fabbriche a tinte forti, dove dominano il buio, i fumi,
le macchine.
È così che sono stati rappresentati i luoghi del lavoro della Seconda rivoluzione industriale, quella
della produzione di massa. Fino a
che, negli anni Ottanta del Novecento, i fotografi — tra i primi da
noi Gabriele Basilico—hanno scoperto le dismissioni delle aree e
delle attività produttive e hanno
iniziato a documentarle con immagini dove invece emergono il
vuoto, i rottami, il silenzio.
Negli anni più recenti, l'industria
3.0 e poi quella 4.0, caratterizzate
dallo sviluppo digitale e dalla crescente flessibilità dei ruoli e delle
competenze, ci appaiono nelle fotografie come spazi impenetrabili, asettici e ripetitivi, più simili a
ospedali che a luoghi di lavoro.
Temperatura emotiva
Un calo progressivo di temperatura emotiva e comunicativa che è
evidentissimo nel recente volume pubblicato da Linea di confine per la fotografia contemporanea intitolato JOBS. Forme e spazi
del lavoro, curato da Antonello
Frongia, Stefano Munarin e Federico Zanfi con il coordinamento
di William Guerrieri e il sostegno
del bando Strategia fotografia
2020 del ministero della Cultura
(Quodlibet, 2022). Nel volume si
leggono le riflessioni teoriche di
un gruppo di ricercatori a commento e a integrazione del lavoro
di quattro fotografi, svolto in
quattro ambiti industriali dell'Emilia centrale, tra le province di
Parma, Reggio Emilia, Modena e
Bologna.
L'attenzione della fotografia
all'architettura e al paesaggio urbano ha una storia ormai lunga,
che comincia subito, a metà Ottocento, quando viene inventato il
nuovo mezzo tecnico. Gli urbanisti invece si accorgono molto più
tardi dell'importanza della fotografia: tra le prime e più note committenze pubbliche di tipo territoriale ai fotografi c'è in Italia la
vasta indagine sui centri storici
dell'Emilia-Romagna fatta alla fine degli anni Sessanta del Novecento da Paolo Monti, che orientò
in larga misura i piani di conservazione e tutela.
Solo da questo momento si registra un ricorso più frequente alle
indagini visive sul campo, e si avviano committente fotografiche
pubbliche destinate a raccogliere
materiale documentario utile per
affrontare le scelte di progetto.
Il paesaggio si trasforma
Con gli stessi obiettivi nacque nel
1989 Linea di confine per la fotografia contemporanea, associazione di enti pubblici che si diede
il compito di rappresentare le trasformazioni del paesaggio, superando il significato estetico e formalistico con cui questo termine
veniva di solito inteso, per comprendervi invece l'osservazione
dei fenomeni sociali ed economici che sono alla radice dei cambiamenti in corso.
Il primo effetto di JOBS è sorprendente: la modernità precisa e salubre che vediamo raffigurata ci
sembra stranamente antitetica alle innumerevoli testimonianze
del contrario che ci assillano a tutte le scale, planetaria e locale. E di
fronte a tanto ordine verrebbe
perfino da rivalutare le capacità
della programmazione urbanistica di progettare un corretto e funzionale sviluppo degli insediamenti produttivi.
I curatori — Munarin e Zanfi sono
urbanisti, Frongia è storico della
fotografia — affermano che l'obiettivo del lavoro è osservare gli
effetti dei cambiamenti tecnologici, economici e ambientali sulle
forme di lavoro e di produzione
in queste aree. Quattro coppie formate da ricercatori (architetti e
urbanisti) e fotografi si sono addentrate in diversi luoghi di lavoro, osservando ambienti interni e
spazi aperti, dialogando con gli
addetti e fotografando.
Sono andati così direttamente al
cuore del problema, scartando l'ipotesi di arrivarci partendo da
più lontano, cioè da una scala territoriale più larga, per evitare il rischio di essere condizionati da
pregiudizi visivi o errori interpretativi. Lo sguardo è minuzioso e
cerca di riconoscere le peculiarità
dei diversi spazi industriali, che a
prima vista sembrano tanto simili da parere uguali.
Perché ciò che accade dentro le
scatole murarie è più o meno
identico: progettare, controllare
processi, imballare, stoccare, spedire. Un lavoro metodico, che sembrerebbe al sicuro da differenze
di genere e da ogni forma di rischio, di sfruttamento e di inquinamento, e a quanto pare anche
al riparo da lotte e rivendicazioni.
Insomma, da tutto ciò che ha connotato negativamente il lavoro in
tempi che qui sembrano definitivamente passati, ma che purtroppo non lo sono affatto.
Secondo gli autori, questi quattro
luoghi sono stati scelti perché consentono una narrazione esemplificativa del nuovo lavoro ipertecnologico e "green" e delle sue scelte
localizzative, non sempre capaci
di affrontare e risolvere gli effetti
negativi dell'automazione sugli
addetti o di evitare un eccessivo
consumo di suolo in un territorio
che è già tra i più congestionati e
inquinati d'Europa.
È proprio per osservare come ha saputo reagire il territorio dell'Emilia centrale agli effetti della crisi
economica del 2008 e di quelle più
recenti e attuali che tutti conosciamo che i fotografi hanno oltrepassato i cancelli e ascoltato le storie
di chi in quei luoghi lavora.
Così è stato possibile vedere gli spazi per il tempo libero che si insinuano in quelli del lavoro (Michela Pace e Andrea Pertoldeo) o il connubio virtuoso tra produzione e
formazione (Cristina Mattioli eAndrea Simi). Ed è così che le fotografie ci consentono di apprezzare l'estrema raffinatezza tecnologica
con la quale viene confezionato il
nostro cibo (Marta De Marchi e Nicolò Panzeri) e il modo con il quale
quotidianamente i piazzali di parcheggi possono diventare aree di
riposo e relax per gli autotrasportatori del settore logistico (Stefano
Saloriani e Allegra Martin).
JOBS è un'impresa riuscita: anche
grazie ai molti ritratti di persone,
l'indagine restituisce frammenti
significativi di conoscenza. Che si
aggiunge a quanto hanno svelato
in questi ultimi anni anche altri
soggetti non istituzionali attivi in
regione nel porsi come osservatori a largo raggio sul lavoro, in primis la fondazione Mast di Bologna, che da un decennio bandisce
concorsi per giovani artisti fotografi, assegna borse di studio e organizza mostre, tra le quali la biennale Fotoindustria, giunta alla
quinta edizione. JOBS è anche una
mostra, aperta nella sede di Linea
di confine all'Ospitale di Rubiera.