Recensioni / Goethe e Schiller compagni d’anima

La prima edizione del carteggio tra Johann Wolfgang Goethe e Friedrich Schiller fu stampata in sei volumi, per iniziativa e sotto la supervisione del primo, tra il 1828 e il 1829. Schiller mancava da più di due decenni: era morto infatti di tubercolosi, a soli quarantacinque anni, nella primavera del 1805. Mentre Goethe, che era giunto allora alla soglia degli ottant'anni, all'interno della cultura tedesca rivestiva già da tempo il ruolo di un illustre, venerabile, ma anche un po' polveroso sopravvissuto. Veniva da molto lontano, infatti. O meglio, da un'epoca in cui la storia europea aveva avuto un'accelerazione di tale intensità — la Rivoluzione francese e il crollo dell'Ancien Régime, quindi l'età napoleonica — da essersi come allontanata, per paradosso, da sé stessa.
Scritte nell'arco di poco meno di undici anni, tra il giugno 1794 e l'aprile 1805, queste lettere (sono più di mille!) in cui si parla di poesia e di processi creativi, di letteratura e di arte drammatica, di libri e di riviste, ma anche della vita quotidiana, di familiari, di amicizie, affondano le loro radici comunque lì, in quell'età fecondissima di scontri e di trapassi che non sono solo storico-sociali, ma poetici e più generalmente estetici. È l'età in cui sullo spirito dei lumi s'innesta un classicismo inquieto e straordinariamente ricco di sollecitazioni e aperture, di cui appunto Goethe e Schiller sono considerati, almeno in ambito tedesco, gli esponenti più autorevoli; ma è anche l'età dell'avvento del Romanticismo, che finirà in breve per relegare nella parte del vetusto e sorpassato tutto ciò che Romanticismo non era.
L'edizione integrale dell'imponente quanto eccezionale corrispondenza tra Goethe e Schiller (gli aggettivi in questo caso non sono sprecati), comprensiva tra altro di annotazioni a ogni singola lettera, è uscita da poco in traduzione italiana per Quodlibet: Carteggio 1794-1805,a cura di Maurizio Pirro e Luca Zenobi. Ed è una buona notizia, perché fino a oggi il lettore italiano aveva a disposizione soltanto la scelta parziale uscita nel lontano 1946 per Einaudi (esaurita da decenni, è stata riproposta qualche anno fa da Ghibli), mentre questo carteggio merita davvero di essere letto per intero.
Certo, ci sono lettere di entrambi i corrispondenti che mettono compiutamente a fuoco questo o quell'argomento poetico, e più in genere creativo. Lettere, diciamo così, da antologia. Eppure un carattere distintivo del carteggio sta nel suo procedere serrato, nel suo ritmo come di botta e risposta. Goethe risiedeva a Weimar e Schiller a Jena, dunque non molto lontano (poi, col nuovo secolo, anche lui prenderà casa a Weimar); il servizio postale — potrà sorprendere - funzionava egregiamente, e soprattutto i due avevano una necessità non solo intellettuale, ma psicologica, fisica persino, delle opinioni, dei consigli, degli stimoli e, insomma, della presenza costante dell'altro. Fatto sta che di molti argomenti è possibile seguire lo svolgimento progressivo, davvero passo a passo, tra dubbi, aggiustamenti di tiro, richieste di spiegazioni ulteriori e pronunciamenti definitivi. Tanto più nelle questioni importanti, il filo del discorso di regola non viene lasciato cadere. E questo consente di leggere la corrispondenza non troppo diversamente da un romanzo epistolare.
In verità, prima di iniziare il carteggio e quando ancora non si conoscevano di persona, non è che si stimassero granché. Tuttavia, fin dalle prime lettere mostrano entrambi uno stesso desiderio d'inoltrarsi nella conoscenza reciproca, come per l'avvertimento comune di un incontro predestinato che, col senno di poi, fa pensare davvero che quell'amicizia fosse scritta nelle stelle.
È Schiller a scrivere a Goethe, che aveva dieci anni più di lui e già da tempo era una leggenda delle patrie lettere (e non solo), per invitarlo a collaborare a le «Horen», una rivista d'arte, scienza e letteratura. Goethe accetta con convinzione, ma quello che colpisce di più è l'intesa che si stabilisce d'acchito tra i due interlocutori. Il discorso s'incendia già nelle primissime lettere, e i due senza meno cominciano a fare sul serio. A partire da Schiller, che già nella sua seconda lettera s'azzarda in un ritratto a tutto tondo del suo illustre corrispondente: «Da tempo ormai, sebbene da una certa distanza, ho osservato con sempre rinnovata meraviglia il percorso del Vostro spirito e la via che avete tracciato». E per parte sua Goethe comprende subito che l'entusiasmo del. futuro amico avrebbe potuto essere decisivo per rilanciare le sue motivazioni e la. sua spinta creativa, che dopo il rientro nel 1788 dal lungo viaggio in Italia risultavano un po' intorpidite («con la Vostra vicinanza mi esortate a un uso più risoluto e vitale delle mie energie»).
Da quel momento le lettere non smettono più fino alla morte di Schiller, coinvolgendo il meglio che la cultura tedesca (e a volte europea) poteva offrire in quel periodo di fioritura artistica e speculativa difficilmente eguagliabile. Basta scorrere l'indice dei nomi del volume. Con un'intelligenza a dir poco singolare si parla di Kant e di Fichte, dei fratelli Schlegel e di Hölderlin, di Schelling e di Hegel («Quanto a Hegel, ho pensato che qualche elemento di tecnica retorica gli sarebbe di grande giovamento. È un uomo eccellente, ma il suo modo di esprimersi lo danneggia molto», scrive Goethe); ma anche di Friedrich e Mozart, di Shakespeare, di Milton, della Poetica di Aristotele. E poi c'è il lavoro comune, come la collaborazione a riviste o la scrittura a quattro mani degli epigrammi degli Xenia; o ancora la riflessione che accompagna assiduamente, entrando nei dettagli anche più minuti, la composizione di opere fondamentali nella storia di entrambi. Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, Arminio e Dorotea o il Faust, per Goethe, ad esempio; Watlenstein, Maria Stuarda e Guglielmo Tell, per Schiller.
E proprio Schiller torna più volte sulla diversità dei rispettivi caratteri, sul loro diverso habitus. Più equilibrato e ponderato quello di Goethe, più inquieto e incerto, perfino con qualche indizio di nevrosi (detto con un termine che resteremo vicini grazie al sentimento», però può essere soltanto nostro) quello di Schiller. Eppure l'impressione è che nel loro rapporto a contare sia anzitutto la concordia degli intenti: la composizione, nell'uomo e negli atti umani, d'istinto e ragione, di natura e cultura, di sensibilità e pensiero, di particolare e universale (il cosiddetto classicismo coincide con questo ideale, in fondo, o se si preferisce con questo sogno). «Posso sperare che a poco a poco entreremo in sintonia su tutto ciò di cui ci si può dare ragione; quanto a ciò che per sua natura non può essere compreso, scrive Schiller in una delle sue lettere più belle. Questa è la storia di un'amicizia straordinaria; e dell'amicizia comporta la complicità, la sollecitudine per le sorti dell'altro, la fiducia, l'intensità, il bisogno reciproco, l'empatia.
A differenza di altri carteggi anche celebri, queste lettere non sono state scritte peri posteri. Proprio per questo i posteri possono trovarle così vive.