Recensioni / Paul Bley, l’imprendibile

Paul Bley (1932-2016), pianista e compositore, è soprattutto noto per essere stato uno dei pochi musicisti bianchi attivamente coinvolti nella «Rivoluzione di ottobre» del 1864 — legata al nascente movimento del Free jazz — per aver collaborato con Bill Dixon alla fondazione della Jazz Composers Guild di Bill Dixon, per aver suonato con Omette Coleman e Don Cherry... Insomma, è noto per tutto ciò che riguarda l'avanguardia. Chiudendo però questo enorme e sottovalutato artista canadese all'interno di una definizione così stretta, si rischia di perdere pezzi importanti (e più musicali) della sua lunga attività. Pezzi che narra lui stesso, anche con ironia, nell'(auto)biografia Liberare il tempo. Paul Bley e la trasformazione del jazz scritta con David Lee (traduzione di Gabriele Zobele, Quodlibet, pp. 192, €20). Ogni tassello torna al suo posto, e a fine lettura ci si chiede dove possa essere collocato un musicista che ha suonato con Charles Mingus, guidato un trio storico con Jimmy Giuffre e Steve Swallow (1961- 62), esplorato le potenzialità dei sintetizzatori e valorizzato, fra i primi, la formula del piano solo, sfoderando un lato meditativo, beffardo, velato di nero. La risposta non c'è, perché Bley è sempre stato imprendibile.

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