Recensioni / Torna in libreria dopo 25 anni il piccolo classico di Moroncini

"Il discorso e la cenere. Il compito della filosofia dopo Auschwitz" (Quodlibet, 400 pagine, 24 euro) di Bruno Moroncini ritorna in libreria, a venticinque anni dalla prima uscita, con quella patina di piccolo classico che il tempo deposita sui testi indispensabili per capire il presente e intercettare il futuro. Moroncini rimane cocciutamente estraneo ai carrozzoni mediatici con le loro fiere dei commenti corrivi.

Una sua biografia stringata recita natali napoletani, suppergiù intorno agli anni Quaranta del secolo scorso. Studi con Aldo Masullo: il meglio che la "Federico II" offrisse a giovani desiderosi del pensiero puro, ardito, però conficcato nella città, per la tensione etica che lo anima e gli dà forma. Produzione scientifica per nulla divulgativa, orgogliosamente priva di affabilità comunicativa. Percorso accademico accidentato, perché le consorterie locali del ramo non amano, anzi contrastano rudemente, chi deragli dai tradizionali binari ideologici, sinonimo di corsie preferenziali per il potere universitario: non per caso, Bruno insegna a Salerno. Un' incoercibile passione civile, prima che politica, che si riversa nel lavoro editoriale per Cronopio: drappello di teste partenopee indipendenti, litigiose, tendenziose. Ciascuna pagina di questo libro demistifica un malinteso concetto di postmodernità. Spiega Moroncini che, per troppi interpreti, il fallimento delle grandi narrazioni, ovvero delle ideologie totalizzanti e legittimanti, fa suonare la tromba di un rompete le righe, tutto va bene in grado di esautorare la possibilità di giudizio e l' esercizio della decisione. La coscienza parrebbe finalmente felice, godendo di beata irresponsabilità. Per Moroncini, la scomparsa delle spiegazioni esaustive consente invece l' assunzione di una responsabilità tanto più radicale, giacché priva di rassicurazioni. Auschwitz è il buco nero che ha inghiottito la domanda di un senso ultimo, definitivo. Dopo lo sterminio degli ebrei, la filosofia dovrà assumersi il compito di metabolizzare, per quanto possibile, il male, indicando agli esseri umani l' unica libertà possibile: il pensiero. Un' interrogazione orgogliosa e disperata che riparta dal tentativo di comprendere quanto pareva improponibile nella civilissima Europa dell' ultima parte del secondo millennio. Quanto ha violentato dignità e socialità elementari. Trasformando il cambiamento in un fiore concimabile esclusivamente con il letame morale che ricopre i ruderi dalle camere a gas. Non credo occorra sottolineare la siderale distanza marcata da Moroncini nei confronti di quel pensiero debole, che definirei la traduzione italiana depauperata del postmoderno francese alla Lyotard, il cui volume-manifesto omonimo esce giusto nel medesimo anno del "Discorso e la cenere". Né, tantomeno, rammentarne l' inconciliabile separatezza dal "mainstream" della filosofia napoletana: attardata, adoperando un eufemismo, nell' ammannire pietanze condite con l' immancabile, stomacante spezia storicista. Altri sono i suoi autori rispetto alla linea Vico-Croce oppure, per darsi un tono internazionale, Ranke-Meinecke. Si chiamano Lyotard, appunto, Derrida, Blanchot, Lacan. Quand' anche non possiedano cognomi transalpini come Platone e Kant, vengono manomessi con tale duttile sagacia da far ritenere che delle due l' una: Moroncini è un folle, giacché li legge così eversivamente; oppure i matti stanno altrove, travestiti, forse, da austeri, rassicuranti docenti partenopei specialisti nell' immunizzazione dei classici.