Il resoconto di questo singolare caso clinico ci è offerto in dono da Valeria Babini che ne ha curato
pregevolmente la traduzione e lo ha commentato con il suo breve saggio “Storia di un curioso incontro
scientifico di fine secolo”, posto a chiusura del libro.
Lo scritto si presenta introdotto da una Avvertenza in cui si specifica che i testi riprodotti sono tratti
da tre fonti, cioè da tre opere di Philippe Auguste Tissié (1852-1935) di cui sono accuratamente riportati
i riferimenti. A questi è stato aggiunto un commento sempre di Tissié scritto ben trent’anni dopo
l’esperienza clinica qui narrata e tratto da un articolo pubblicato nel 1930.
Siamo nel luglio 1886 quando il laureando Tissié si china sul giovane paziente ricoverato nel reparto
del professor Jean-Albert Pitres (ospedale Saint-André di Bordeaux) condividendone le lacrime e la
disperazione: il suo nome? Albert D., appena arrestato, quindi spedito a farsi curare a causa del suo
vagabondare senza meta. «Quello con Albert Dadas resterà, per Philippe Tissié, l’incontro decisivo della
sua vita professionale» (p. 154), e persino Cesare Lombroso, ci ricorda la curatrice, lo citerà.
Il sonnambulismo del paziente Albert D. (nato a Bordeaux il 10 marzo del 1860) si concretizza in
situazioni assai evidenti che egli stesso riferisce al suo curante: camminate infinite, viaggi per l’Europa
che lo conducono a Vienna e a Mosca, escursioni fino ad Algeri, con una resistenza incredibile – è capace
di camminare per settanta chilometri in un solo giorno – e sempre, di volta in volta, fermato, schedato,
bloccato, incarcerato, spedito nei “luoghi di cura” di allora a causa del suo sonnambulismo diurno che
Tissié cercherà di curare con l’ipnosi. «Non riusciva a fare a meno di partire quando gliene prendeva il
bisogno; succedeva così che preso, catturato da un desiderio imperioso, lasciava famiglia, lavoro,
abitudini e tutto a un tratto si metteva a andare avanti, camminando velocemente» (p. 13). Nel ricostruire
la vita del suo paziente, Tissié si sofferma sulle sue abitudini onanistiche, sulla sua prima fuga da casa,
sulla decisione di arruolarsi come volontario (dopo essere stato scartato alla visita medica di leva) –
avventure che gli costeranno persino i lavori forzati per diserzione – fino a giungere a una minuziosa
indagine clinica corredata da misurazioni del cranio e altre investigazioni fisiche e psicofisiche.
Il diario del ricovero, insieme al capitolo dedicato alla ipnosi, valgono l’intero testo, mentre Tissié si
scaglia contro una società che imprigiona il “diverso”, senza capirne nulla, rinchiude e delimita la vita e
la libertà errante di questo uomo che parte, e cammina, senza sapere perché e senza averne coscienza. Ma,
con le parole di Tissié, «l’atto compiuto dal malato non dimostra niente; è solo il determinismo di questo
atto che può chiarire la diagnosi. Abbiamo visto che le fughe sono numerose. Quale ne è il determinismo?»
(p. 81). Ed ecco l’analisi della tipologia di riferimento (dell’epoca): i deliranti, gli allucinati, proseguendo
verso i dementi e gli impulsivi, per concludere con la categoria dei captivés (i catturati, i soggetti che sono
sottomessi, subordinati, prigionieri, rapiti dal loro stesso irresistibile impulso). E quando la curatrice
scrive «mi domando in breve se non sia la coppia terapeutica a dare vita al caso clinico, o quanto meno a
rappresentarlo» (p. 151), credo che si possa essere del tutto d’accordo, e anche questi resoconti per certi
versi “antichi” a opera di Philippe Tissié ne sono una eccezionale testimonianza.
Di Valeria Paola Babini, docente di Storia della psicologia al Dipartimento di Filosofia dell’Università
di Bologna, ricordiamo in particolare due testi: il volume da lei curato Lasciatele vivere. Voci sulla
violenza contro le donne (Bologna: Pendragon, 2017), recensito a pp. 330-334 del n. 2/2017 di
Psicoterapia e Scienze Umane, e Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento
(Bologna: Il Mulino, 2009), di cui alcune parti sono state anticipate a pp. 463-490 del n. 4/2009 di
Psicoterapia e Scienze Umane e che è stato anche segnalato nella recensione-saggio «Dove va la storia
della psichiatria? Dieci libri a confronto» a pp. 245-250 del n. 2/2010