Recensioni / Attraverso Pasolini – Pasolini Déluge #7

Franco Fortini è stato – assieme a pochi altri, Sergio Quinzio, Guido Ceronetti, forse il Solmi padre – uno dei pochi, autentici irriducibili della cultura italiana del secondo Novecento: in questa categoria vanno racchiusi quanti, senza disdegnare il richiamo ad antiche dottrina quali la teologia o, nel caso di Fortini, il “paleomarxismo”, restarono ai margini delle correnti dominanti della cultura e della politica a loro contemporanei, maggioranza od opposizione che fosse, con un’inattualità da lasciar sgomento Nietzsche. La lettura di questi Irriducibili è spesso ostica, sfuggente, la comprensione si fa friabile e, sorti a volte in opposizione a un intero secolo, riletti oggi si può fare difficoltà a comprendere appieno quali fossero le polemiche riguardo cui si dicevano estranei da ogni parte in causa; ma è proprio questo a rendere un libro come Attraverso Pasolini magistrale, è proprio questo a distinguere, nel profluvio di pubblicazioni dovute all’anno del centenario, la nuova edizione ad opera di Quodlibet del volume originariamente edito negli anni novanta da Fortini mettendo assieme i suoi scritti pubblici, la corrispondenza bilaterale e gli appunti privati a proposito della letteratura, della figura pubblica e della concezione politica di Pier Paolo Pasolini.
“Lui aveva torto, e io non avevo ragione”. Possiamo dire da subito che la lettura che Fortini dà di Pasolini attraverso un doppio schema temporale – una successione di scritti apparsi nell’arco di quattro decenni, messi in ordine e ricommentati dal maturo Fortini settantacinquenne, a quasi vent’anni dalla morte del frère ennemi – si conclude in un autentico impasse, che è sintomatico delle sfide che la Sinistra Italiana ha sfiorato e forse nemmeno colto, certo perso, negli anni immediatamente prima il Sessantotto, e nei decenni successivi. C’è da dire che raramente si sono lette affermazioni tanto lucide e tanto smaliziate sul conto di P.P.P., come questa: “Pasolini era proiettato verso un’orbita di ellissi molto tesa. Il suo forcing intellettuale di allora gli dette l’illusione di poter correre sulla cavalcatura che gli veniva offerta dall’industria culturale. E, troppo tardi per poterne prendere una rivalsa non sofistica, seppe che quell’industria gli componeva intorno una scena perché vi recitasse, in eccessiva buona fede, la parte della vittima e dell’inventore inesausto”.

Attraverso Pasolini è un testo indubitabilmente specialistico, e rappresenta più un eterogeneo materiale di studio, non tanto su Pasolini quanto sui suoi anni e sulle convulsioni politiche di quel tempo, che la lettura classica di un epistolario o raccolta di saggi critici; quanto a vis polemica, e ad autonomia ermeneutica, l’unico altro scritto paragonabile tra quelli apparsi nell’anno di questo sfortunato centenario è il Per Pasolini di Goffredo Fofi (coedizione CSC & La Nave di Teseo), anch’esso una raccolta di scritti d’epoca preceduti da una retrospettive prefazione, da cui emergono con maggiore chiarezza le ambiguità di Pasolini e della sua canonizzazione, rispetto alle infinite pubblicazioni in partenza vittime di un mito che P.P.P. stesso ha saputo ben costruire. Del resto, come Fortini ha voluto ben argomentare in uno degli appunti che chiudono il suo Attraversamento, Pasolini è uno di quegli scrittori che ha avuto maggiore influenza da morto piuttosto che da vivo: le sue intuizioni politiche hanno preveduto molti degli sviluppi sociologici dell’Italia del “grande freddo” degli anni ottanta, fino alla folgorante para-profezia della strage di Bologna contenuta nel romanzo incompiuto e incompibile Petrolio. Attraverso Pasolini, ripercorrendo la carriera del più noto intellettuale del Novecento italiano dagli esordi poetici fino alla pubblicazione postuma del grande pastiche lasciato interminato dal suo omicidio, consente quasi di immaginare una vera e propria ripartenza negli studi pasoliniani, una salvifica cesura a quello che Fortini chiama, senza mezzi termini, “culto politico-erotico o marx-mortuario”, una “necrofilia dell’assassinato”. Peccato che la pensi diversamente il resto dell’industria culturale che del corpo stesso di Pasolini si è uccellinescamente nutrita.