Recensioni / Corrado Claverini, La tradizione filosofica italiana

Il volume è interamente dedicato alla specificità del pensiero italiano. Claverini osserva che le domande principali sono le due seguenti «a) è legittimo parlare di una filosofia italiana? Oppure la filosofia, in quanto tale, è apolide e non è determinata da fattori territoriali?» e «b) posto che sia ammissibile l’esistenza di una filosofia specificamente italiana, qual è la sua essenza? È possibile individuare caratteri peculiari che la contraddistinguano rispetto ad altri patrimoni di pensiero, come quello inglese, tedesco o francese?» (p. 7).
Rispetto alla prima questione, se sia possibile parlare di una filosofia declinata in senso nazionale o territoriale, la risposta, meramente bibliometrica, la danno i numerosi studi che l’hanno affrontata, ad esempio si può rimandare alle riflessioni di Fabio Ciracì sulla scorta del lavoro di Claverini (Esiste una filosofia italiana? «Idee» 1 [2022], pp. 123-137) e alle due importanti curatele edite rispettivamente da Giovanna Borradori (Recoding Metaphysics. The New Italian Philosophy, Northwestern University Press, Evanston 1988) e Dario Gentili ed Elettra Stimilli (Differenze italiane. Politica e filosofia: mappe e sconfinamenti, DeriveApprodi, Roma 2015). La risposta alla seconda, parimenti positiva, la danno i numerosi studi che si sono occupati, per fare un esempio, «dell’essenza e del divenire» della filosofia in Svizzera, come recita il titolo di un opuscolo di Anna Tumarkin (Wesen und Werden der schweizerischen Philosophie, Huber, Frauenfeld 1948), secondo i quali το ελβετικόν – quel che è svizzero della filosofia – sarebbe da vedere, spiegava Hans Ryffel, «nella diffidenza verso le posizioni estreme e verso una filosofia sistematica, dogmatica e troppo astratta, come pure nella connessione di riflessione filosofica e vita pratica dell’esistenza morale individuale o della società nella educazione e nella politica» (G. Pedroli [a cura di], Correnti filosofiche in Svizzera, Edizioni di Filosofia, Torino 1954, p. 5). Va anche notato, che se Enrico Berti aveva chiarito di non essere d’accordo con gli scettici e nemmeno con quanti affermano che «v’è già una filosofia vera, totalmente vera, la quale ha esaurito tutta la verità alla quale si poteva ambire» e di essere invece «un sostenitore della storicità della filosofia» (L. Grecchi [a cura di], A partire dai filosofi antichi, il Prato, Padova 2010, pp. 96 s.), Claverini osserva che parlare di filosofia nazionale «non vuol dire ridurre le pretese di universalità della filosofia, considerandola un mero fenomeno storico e geografico, ma significa esser consci che la verità, pur avendo sempre una sua genesi particolare, mantiene la sua validità universale» (p. 19).
Oggi si può dire che le peculiarità della filosofia italiana siano divenute topiche. Claverini evita l’approccio essenzialista e tanto più quello ideologico. Si accosta al problema discutendo il valore che la riscoperta della tradizione filosofica italiana ha «nell’attuale contesto europeo e mondiale». Pertanto, Claverini non parla né di contesti socio-culturali territoriali, né tanto meno di essenze. Parla invece di «paradigmi interpretativi» che siano stati riconosciuti in grado di «porre la questione ancora oggi attuale della specificità della tradizione filosofica italiana» (p. 9).
Il primo paradigma, quello della circolazione europea del pensiero italiano, risale al celebre ciclo di lezioni che Bertrando Spaventa tenne a Napoli sulla storia della filosofia italiana durante l’anno accademico 1861/62, dunque a meno di un anno di distanza dalla proclamazione dell’unità nazionale (p. 30). È nel Rinascimento, non nell’antica sapienza dei popoli italici («il pitagorismo o l’eleatismo»), che ha origine la tradizione filosofica italiana. Nasce con Campanella e Bruno e si sviluppa con Vico: in un suo primo movimento la filosofia italiana esce e va nelle altre nazioni d’Europa, e però nel secondo movimento la filosofia torna in Italia negli sviluppi avuti con Cartesio, Spinoza, Kant, Fichte, Schelling e Hegel e «si invera» nel pensiero di Galluppi, Rosmini e Gioberti (p. 44).
Esprime il secondo paradigma la Storia della filosofia italiana di Giovanni Gentile, nella quale l’inizio delle tradizioni di pensiero europee viene collocato tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna. Così come Meister Eckhart e Bacone costituiscono rispettivamente l’inizio della filosofia tedesca e inglese, altrettanto vale per la coppia Montaigne-Cartesio in Francia e per Dante in Italia (p. 58), dove il Rinascimento mette all’opera il processo di progressiva immanentizzazione che porta all’idealismo assoluto e alla costituzione dell’«autonomia dell’uomo di fronte alla natura inferiore», la quale «natura tutta, compreso l’uomo, si spiega iuxta propria principia, senza ricorso a nulla di trascendente» (p. 66).
A Eugenio Garin spetta il merito di aver approntato il terzo paradigma, che anziché partire da una visione del mondo che orienta la storia, come lo erano la circolazione di Spaventa e l’immanentizzazione di Gentile, lascia sia la storia a prendere la parola, con le sue discontinuità e i suoi mutamenti, senza che vi sia una «logica sotterranea» a guidarne il movimento. Contro la riduzione della storia della filosofia all’illustrazione di «una logica che è teologia camuffata», Garin traccia nondimeno un quadro d’insieme del patrimonio filosofico italiano sulla base di alcuni caratteri ricorrenti che vedono «quasi sempre» una filosofia «dell’uomo e delle sue attività», un pensiero umano e terreno in una tradizione policromatica, la varietà della quale emerge già dagli albori umanistico-rinascimentali (p. 97).
A Roberto Esposito va riconosciuto non solo di aver portato l’Italian Thought all’attenzione della comunità globale del ventunesimo secolo ma anche di aver proposto con Pensiero vivente (Einaudi, Torino 2010), le coordinate del quarto e ultimo paradigma (p. 109), secondo il quale le caratteristiche peculiari della filosofia italiana di oggi vanno rintracciate nelle sue origini umanistiche, a cominciare da Machiavelli, in un pensiero «in buona parte esterno alla piega trascendentale in cui resta, invece, impigliata la sezione più cospicua e influente della filosofia moderna» (Esposito, Pensiero vivente, p. 12). La galassia concettuale – resistenza, esilio, assenza di vocazione nazionale – che meglio definisce il pensiero italiano si sviluppa «fuori dalla nazione e dallo Stato – e dunque senza la risorsa di una capitale che, come Parigi, Londra o Madrid, faccia da collettore geopolitico di una serie di esperienze intellettuali raccogliendole in un luogo comune di produzione e diffusione del pensiero nazionale» (ivi, p. 20). Occorre dunque ripartire dal paradigma ontologico-politico neo-machiavelliano o conflittualista (p. 114).
Per concludere, se monoculturalismo, riduzionismo naturalistico e monoteismo della ragione strumentale oggi sono concause del nichilismo che struttura l’epoca della globalizzazione, fa bene Claverini a osservare che porre attenzione verso le differenze nazionali non deve portare a innalzare muri e barriere, ma a promuovere il dialogo interculturale (p. 133). Non a caso, Claverini sta curando la redazione del volume Die Philosophie des 19. Jahrhunderts 4/1: Italien della prestigiosa collana «Ueberwegs Grundriss der Geschichte der Philosophie», al quale collaborano i maggiori specialisti di storia della filosofia italiana Cionondimeno, dobbiamo riconoscere che nella nostra epoca globalizzata, l’interconnessione delle culture è un dato di fatto. La storia della filosofia può affrontare questa realtà solo ricostruendo il passato da una prospettiva globale in modi, stili e linguaggi diversi. È dunque giunto il momento di un cambio di prospettiva che consideri l’interdipendenza delle tradizioni filosofiche e i continui scambi culturali, che consideri la circolazione mondiale della filosofia e, allo stesso tempo, come la filosofia cambi e si sviluppi migrando da un contesto culturale all’altro. Questo obiettivo ambizioso rende la ricerca di Claverini particolarmente innovativa e tempestiva: l’aver chiarito come l’urgenza di dimostrare la mobilità e l’interdipendenza delle culture sia oggi eccezionalmente alta. La strada è aperta e va nella direzione di una storia intrecciata della filosofia da un punto di vista globale.

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