Recensioni / L'artigiano della parola: «È l'ora, poso la penna»

Emilio Rentocchini (classe '49) è uno tra i più grandi poeti italiani contemporanei. Nel 2020 ha ricevuto il 'Premio Pascoli' sezione 'Dialetto'. «Sassuolo sono io» ha detto in un'intervista, alludendo al fatto che i suoi versi nascono, similmente alle piastrelle, attraverso un processo di impasto di materie dure, ruvide; da una chimica delle parole di intensità rara, capace di restituire - attraverso un lento lavorio - levigature sorprendenti. Sassuolo, centro di uno dei più importanti distretti mondiali per la produzione industriale di ceramica, è il luogo dove Rentocchini è nato e dove vive. In disparte, a dire il vero. Seminando silenziosamente briciole di poesia. Ma è anche un intero universo, quasi mitico, di ricordi e affetti, che germoglia sotto la lingua ispida imparata in famiglia durante l'infanzia. La sua lirica, considerata 'metafisica' ed 'epigrammatica', è ormai riconosciuta anche come originale ricerca sul linguaggio dialettale. Nel 2022 ha raccolto le sue 300 ottave, scritte in più di trent'anni, in un volume edito per Quodlibet, che ha dato seconda e nuova vita alla omonima e precedente antologia Lingua madre. Incontrarlo, sulla pagina o di persona, è un po' come ascoltare l'eco delle parole che dobbiamo ancora imparare a pronunciare. A dmand ed fend as pól rispender soul / con fres ed sfrus. Eh, piò as sfurdiga piò / l'elàstigh dia memoria al ciapa al voul / e as mett in testa d'eser - guerda un po'- / casadour ed futur. A domande di fondo si può rispondere solo con frasi di frodo. Eh, più si fruga più l'elastico della memoria prende il volo e ci mette in testa di essere - guarda un po' - cacciatori di futuro. La sua è una visione del mondo carica di pathos e portatrice di temi assoluti: la vita, la morte, l'amore, la felicità, il dolore. Rentocchini è stato figlio e oggi è padre (e spirito) di una terra operaia e artigiana, profondamente trasformata. Nel suo percorso ha plasmato e utilizzato la lingua come il 'farsi' stesso della poesia.

Cosa vede oggi il poeta all'orizzonte?
«Vivo alla giornata. E l'orizzonte è quello della sera. Come diceva mio nonno, 'si fa venire sera'. Trovo sia una forma d'arte. Quando alzo lo sguardo, d'altra parte, vedo le vite degli altri e, in prospettiva, è molto importante. C'è ancora tanto su cui riflettere. Vede, io devo confessarlo. Devo confessare che ho smesso di scrivere. Con il mio ultimo libro, ho chiuso. L'idea che ho sempre avuto era decidere di smettere senza che qualcun altro lo facesse per me. Senza arrivare in punto di morte con la penna in mano. L'ultima cosa che ho composto è del 2018, per questo l'anno dopo ho pubblicato le ultime 44 ottave e da poco è uscita Lingua madre (Quodlibet, 2022), la raccolta che le contiene tutte e 300. Ë il momento giusto. Lo dico serenamente, perché io non sono uno che va avanti ma che gira intorno. Come le ottave, che sono straordinariamente circolari, e come il dialetto che, dentro l'ottava, crea un suono concentrico. Questa propensione potrebbe portarmi a scrivere una poesia al giorno. Mi son detto: smetti di girare su te stesso col rischio di diventare retorico».

La regista Daria Menozzi disse che il motivo conduttore del suo lavoro è il 'tempo', frutto di una 'ruminazione interiore' incessante. Adesso questo tempo diventa definitivo?
«Il tempo non è che l'abbia proprio scelto. Scaturisce da solo. Il tempo è come l'acqua, se la si lascia fare prima o poi salta fuori. Fin da subito tutti sentiamo di essere attraversati dal tempo. Il problema è non esserne inghiottiti. Mettere al centro il tempo vuol dire parlare dell'unica cosa di cui parla il poeta, ovvero la vita. E la cosa meravigliosa, della vita, è che si muore non sapendo, così come si nasce. Sembra atroce? lo penso, invece: e se non ci fosse questo abisso, cosa saremmo?».

Il dialetto, sulla pagina, è diverso da quello parlato. Una lingua di confine, in bilico, che nel giro di qualche generazione rischia di diventare incomprensibile. Avverte un'opposizione tra l'oralità tradizionale del dialetto e la scrittura dentro cui oggi rivive?
«Partiamo dall'inizio. Il poeta 'dialettale', che incide sul foglio questa lingua libera, nata per essere parlata, è un killer. Somiglia a un entomologo che ama le farfalle però le trafigge. Il nostro dialetto era una lingua fresca, non codificata, che non era mai stata messa nel tabernacolo. D'altro canto, le lingue classiche sono state salvate dai poeti, non dai grammatici. E col dialetto forse sta avvenendo la stessa cosa».

Da dove nasce la scelta delle 'ottave'?
«Era il 1988. In un pomeriggio luminoso d'aprile tornavo a casa da scuola, dove insegnavo, e ricordo che ero scontento. Mi misi a preparare una lezione sull'Ariosto, così presi in mano l'Orlando Furioso di mio padre e mi sistemai sul divano verde, che aveva delle sottili righe oro. La luce del sole rendeva tutto meraviglioso. Ho letto fino a sera e poi anche i giorni a seguire. Spesso è stato detto che mi sono 'ispirato' all'Ariosto, ma non è mica vero... l'idea delle ottave mi è venuta così, ma l'ispirazione è la mia vita. Un po' come quando si cerca di accendere un fuoco sfregando due pietre. Anche se il fuoco non s'accende, nella notte si vedono le scintille».

Lei ha scritto anche sonetti. Perché considera tanto importante la 'forma' del verso?
«Potrei dire quasi la verità... Sassuolo è una terra severa. Fatta di gente che ti valuta per ciò che sai 'fare'. Mio padre era un cultore della poesia, a 10 anni mi faceva ascoltare i vinili di Foà che leggeva Garcia Lorca. Ma quando gli dissi che volevo pubblicare poesie, avevo 35 anni, mi disse: lascia perdere. Oggi so che voleva difendermi dalla durezza dell'ambiente. lo, però, ho sempre ammirato questa severità e così scelsi di misurarmi, provando almeno ad essere un bravo artigiano. Prendendo una forma chiusa e dimostrando che sapevo 'fare'. Essere poeta, tuttavia, significa saper stare dentro la tecnica senza esserne schiavi. Come ho scritto in un'ottava: 'La tecnica l'è un quel fondamentel / quand la s'anólla a fié 'n la fluidité / ed quell ch'as vliva dir' ... La tecnica è una cosa fondamentale / quando s'annulla nella fluidità / di ciò che si vuol dire...'»

Progetti per il futuro?
«Per adesso, spero di concludere l'ennesimo trasloco. Torno dove tutto è cominciato. Vicino all'asilo Sant'Anna di Sassuolo, dove sono cresciuto».

Torna all'asilo?
«Diciamo che mi ricongiungo all'inizio, come succede dentro un'ottava».