Recensioni / Recensioni

Mi accingo al commento di questo volume con un certo scrupolo, non lo na-scondo. Perché, nel tenerlo nelle mani, nello sfogliarlo, nello scorrere velocemente alcuni passi, colgo subito la complessità di questa opera, molto articolata nelle sue diverse componenti; molto ricca nei suoi contenuti; preziosa per alcune delle cose che lascia scoprire di un territorio fino ad anni recenti poco esplorato e altrettanto rilevante per le conoscenze che permette di consolidare e approfondire sempre di quel contesto così peculiare, anche in un paese come il nostro così ricco di diffe-renze e specificità. Il pericolo di non cogliere tutta la varietà di contenuti, di non comprendere alcuni passaggi, di non riuscire ad apprezzare tutta la dovizia di in-formazioni e riflessioni critiche è infatti in agguato.
E davvero si farebbe cattivo servizio se non si riuscisse a restituire quanto Ma-ria Valeria Mininni ha voluto comprendere in questa grande opera. Un’opera che l’autrice rende manifestamente corale: il modo con cui sono organizzati scritti, l’apparato iconografico (tra cui l’Atlante dei segni” quale dispositivo di comunica-zione critica) e le fotografie con cui viene ricostruito questo processo di cambia-mento territoriale mostra chiaramente il coinvolgimento e l’impegno di tante per-sone: perché alle testimonianze di Sergio Bisciglia, Marialucia Camardelli, Gio-vanna Costanza, Miriam Pepe e Michele Cera, a cui si devono immagini di grande incanto, si aggiunge l’intenso e vivace brusio degli studenti impegnati nei lavora-tori didattici, dei cittadini ascoltati, coinvolti e resi consapevoli della loro qualità di agenti del cambiamento, dei componenti delle istituzioni che con modalità di-verse hanno contributo alla costruzione di questa esperienza collettiva unica. Un’opera fatta di molteplici presenze guidate da un’appassionata regia, ma soprat-tutto da un amore incondizionato per i luoghi.
Infatti, per chi ha potuto seguire, nelle principali riviste del nostro settore, o piuttosto in diversi convegni in cui Matera è comparsa come protagonista di tante storie urbanistiche, l’impegno oneroso ma degno di nota dell’autrice in un’università emergente nel Mezzogiorno d’Italia – quello meno accessibile, quello marginale che solo ora viene travolto dal turismo e dalla notorietà – coglierà come questo volume intenda innanzitutto restituire un’esperienza di osservazione parteci-pata durata molti anni durante un momento particolarmente felice di questa città. Da questo processo, però, l’autrice tenta anche un forzoso distacco per poterne dare una valutazione critica serena ed obiettiva; per riconoscerne le indubbie opportunità create nel fermento di mobilitazione civica e di investimento politico ed economi-co, ma anche i limiti che ne sono emersi e gli impatti che già oggi richiedono qualche rimedio per questo territorio, passato da “limine” a nuova polarità sociale e culturale ed economica, per proseguire sul sentiero di uno sviluppo equilibrato.
Il testo non vuole però essere solo una riflessione su Matera e sulle sue recenti trasformazioni. Vuole essere anche un’esplorazione nel campo (per l’urbanista “sci-voloso”, avvisa l’autrice) della valutazione degli effetti di una politica culturale, basato “sull’analisi delle ricadute di fattori materiali e immateriali, degli effetti sull’economia culturale […] che rischia di rendere arbitraria qualsiasi valutazione, e quindi inutile e inutilizzabile”. Tra gli obiettivi dell’opera, quindi, non si cela l’intento di “dare all’immaginario prodotto da un processo culturale un valore di costrutto a sfondo pragmatico che al peso concettuale possa abbinare anche una ca-pacità di orientamento dell’azione, perché migliori l’esistente. […] La valutazione, dunque, è essa stessa parte del progetto culturale, integrata alla proposta di ricerca e che accompagna fino a trasformarsi in politica ordinaria, assorbendo e metaboliz-zando il processo che rientra nel ciclo delle vicende urbane” (p. 119).
Questo è dire ancora poco del volume. Sfogliandolo, infatti, a molti di noi che operano nell’università sono evidenti i richiami ad una riflessione sulle metodolo-gie di ricerca scientifica – fatta di raccolta e restituzione di dati e forme, di indagine scrupolosa e di esplorazione di modalità di rappresentazione efficaci nella comuni-cazione semplice e diretta (che deve saper parlare ad una platea ampia ed eterogenea) e nel rigore dell’informazione veicolata per la costruzione di un sapere condiviso necessario a cogliere pienamente il processo in corso – e che a tratti oggi appare in crisi, se non fiaccata dalla sostanziale incapacità di cogliere la complessità dle con-temporaneo. O piuttosto l’invito a ragionare su un percorso di ricerca-azione, di una ricerca operativa condotta sul campo che al duro impatto con la concretezza del quotidiano sia in grado di accompagnare anche la piena partecipazione dei protago-nisti del contesto, che agiscono, che vengono osservati mentre agiscono ma che la ricerca rende consapevoli della propria azione, del suo valore e dei suoi effetti per il cambiamento, favorendone apprendimento ma anche auto-valutazione critica.
È un modo – il testo di Mininni – anche per ragionare su senso e valore di quella Terza Missione (richiamata in più punti del testo e sancita dall’inaugurazione del nuovo campus universitario di Matera proprio nel 2019, an-no del grande evento) che oggi è divenuta così centrale nelle retoriche sull’università che cambia, ma che in molti casi fa fatica a trovare una concreta e condivisa definizione oscillando tra una sfera di azioni di carattere puramente eco-nomico di controversa natura e un ventaglio sempre più ampio di impegni e inizia-tive di carattere sociale. Ma pensando alla realtà materana, ecco che ci viene presen-tata un’università che in questo processo di costruzione e poi gestione del grande evento, non è stata solo osservatorio (in quanto responsabile del monitoraggio e della valutazione del processo di Matera 2019) ma ha anche produttrice di eventi, contribuendo alla costruzione delle “narrazioni” della “città della cultura” e di “rico-struzioni” critiche della storia di Matera e del suo territorio.
Infine, è evidente al di là di queste intenzioni, il volume voglia davvero rappre-sentare il personale contributo a quella sfida che viene auspicata come la vera eredi-tà dell’evento, ossia la capacità di resistere il ritorno della città ad “un localismo inutile o rinunciatario”, alla “tirannia delle immagini che tengono Matera ancorata al passato ”, alle “trappole dell’apatia, della disillusione o della bassa politica” (p. 10) sempre in agguato – soprattutto in questi tempi di nuova opulenza dettati dal PNRR, durante i quali invece bisognerebbe essere in grado di mantenere forte e at-tenta l’azione pubblica, di conservare anzi rilanciare quella vivacità e progettualità mostrata negli anni di preparazione all’evento del 2019, capace di “governare la transizione, migliorando le forme dello spazio e soddisfare i bisogni della gente”.
Ecco che la restituzione di un’esperienza felice diventa l’occasione per descrivere i passaggi decisivi che hanno condotto al successo, di analizzare criticamente le azioni condotte, per delineare i capisaldi di una strategia urbana e territoriale capace di costruire un “futuro” che non si riduca alla cristallizzazione della città turistica che il successo della nomina a Capitale Europea della Cultura ha sublimato e che rischia di rimanere l’unica eredità di un’esperienza eccezionale; un futuro più ade-guato e più sostenibile per una realtà che sembra “in bilico” tra il possibile salto verso un futuro di “città aperta e globale”, potente e creativa o piuttosto il ripiega-mento verso quella condizione di subalternità territoriale ma come lucente fondale per torme di turisti disinteressati.
Non ho davvero lo spazio in questa nota per restituire, anche solo condensando con brevi cenni, i tanti temi che il volume affronta e approfondisce: sarebbe come sminuirli e banalizzarli, mentre essi meritano che il lettore vi si soffermi con atten-zione, proprio perché esplorano non solo questioni di città e di territorio, non solo molte delle problematiche della città contemporanea sulle quali ci interroghiamo dopo gli anni di crisi economica e pandemica che hanno stravolto organizzazione sociale e strutture economiche, ma anche temi disciplinari che oggi ci sono molto a cuore. Al centro delle pratiche raccontate e descritte, infatti emerge l’attenzione al ruolo e al peso dello spazio urbano e in particolare dello spazio pubblico, teatro degli eventi ma soprattutto delle esperienze singole e collettive della comunità lo-cale, uno “spazio progettato”, modellato da forme permanenti o trasfigurato dalle manifestazioni organizzate e dagli eventi estemporanei. E quindi anche sullo spazio urbano che il volume ragiona, rimarcando come questa esperienza lasci emergere la necessità di aggiornare l’approccio critico del progetto urbanistico senza però rinun-ciare al “bisogno di una tecnica, purché non sia solo normativa, che si faccia carico di trasferire i linguaggi molteplici della complessità dello spazio contemporaneo entro un sistema di regole e raccomandazioni che accompagnino le azioni in un si-stema relazionale. Non si tratta di sostituire gli strumenti a disposizione ma di modellarli sondando il limite della loro adattabilità, lavorando per tentativi e veri-fiche sapendo che sono più le conseguenze che i principi che vanno osservati e in-terrogati” (p. 18).
In questa cornice di riflessione critica, acquistano un valore particolare, le rifles-sioni sulle strategie di uso dello spazio aperto (M. Camardelli), sugli effetti territo-riali estesi dell’evento (G. Costanza), sul ruolo dei processi partecipativi (M. Pe-pe), non solo dunque resoconti di un’esperienza unica, ma piuttosto appunti di un percorso di formazione disciplinare. E le letture sociologiche dei processi innescati dal grande evento e della loro concreta portata sull’immaginario collettivo, diven-tano l’occasione per ragionare sui processi di costruzione delle narrazioni e delle interpretazioni del sé, degli arcani meccanismi con cui una collettività complessa e articolata in trasformazione di ridefinisce e si prepara ad un ruolo diverso dal passa-to (S. Bisciglia).
Non un libro su Matera, dunque, o comunque non solo su Matera e il suo terri-torio, ma piuttosto un libro sulla città contemporanea e sull’arte di comprenderla e saperla progettare, anche con le politiche culturali, trasformando un “grande evento” in un’eccezionale opportunità di riscatto e mutando le emozioni dell’effimero in energia per un cambiamento duraturo.