Recensioni / Focus sulla lingua, 5 finalisti che si divertono con le parole

L'ingresso di una libreria, luogo di incontro tra libri e lettori, nel comitato scientifico, di solito frequentato da critici letterari, ha cambiato le carte in tavola: la 39esima edizione del Premio nazionale di narrativa Bergamo vuole stuzzicare il pubblico. Per usare le parole del critico e saggista Andrea Cortellessa «quest'anno la scelta dei finalisti mette in movimento le papille gustative linguistiche».
La cinquina, seppure difforme per tipologia narrativa, è accomunata «dal divertimento della lingua, a volte inquietante, a volte comica, ma sempre in primo piano». Il 30 marzo in biblioteca Tiraboschi, dove si terranno gli incontri con l'autore, moderati da Giacomo Raccis, Chiara Messi presenterà «Tante care cose. Gli oggetti che ci hanno cambiato la vita», edito Longanesi. Il libro è illustrato dai disegni di Paolo D'Altan, che «non sono un condimento editoriale, ma essenziali, perché il design è al centro della narrazione — continua Cortellessa . Leggendolo scopriamo la genealogia di alcuni oggetti che si songaffermati nel mondo e hato segnato le nostre vite, come la poltrona sessantottina a sacco». Il critico snocciola altre storie, come il flop d'autore di Giugiaro, a cui venne chiesto di disegnare un nuovo formato di pasta, ma le sue «Marille» non ebbero successo. Se Messi recupera la fenomenologia narrativa degli oggetti, lo storico Matteo Melchiorre assegna loro un significato simbolico ne «Il Duca», edito Einaudi. Esordio narrativo dell'autore, che sarà presente il 23 marzo, è «il romanzo più romanzo tra i finalisti spiega Andrea Cortellessa . In esso gli oggetti sono presenze magiche, parte integrante dell'ossessione del protagonista. Il Duca, proprietario di diversi immobili di campagna, si imbatte in un archivio di famiglia e spulciandolo diventa archeologo di se stesso. Nei documenti e luoghi ricerca la sua strana spaesatezza».
Se in questo romanzo gli ambienti e il terreno denso sono «un magma oscuro», nell'opera «Il capro», edito da Il Saggiatore, i toponimi di Silvia Cassioli, presente il i6 marzo, sono riconoscibili. Il suo libro racconta la storia del mostro di Firenze «non come giallo verità o inchiesta giudiziaria, ma con un'operazione linguistica — prosegue il critico letterario —. Nel romanzo la lingua è presenza materica e inquietante che raccoglie gli umori della comunità, colpevole e complice». Di luoghi si parla anche nel fototesto «Palermo. Un'autobiografia nella luce», edito Humboldt Books, di Giorgio Vasta e Ramak Fazel, in città il 9 marzo. In un gioco di distanze tra parole e immagini, «Vasta racconta le proprie origini familiari, ma non dice nulla della città natale. Sarà Fazel a farlo, fagocitato da Palermo. Lo scrittore ne svela invece la luce artificiale, che sarà quella di un software, di una cinepresa. La luce alla fine è la sua scrittura, intesa come organismo che nasce e cresce».
Completa la cinquina, che quest'anno riconosce anche il nono premio Il Calepino a Lia Levi, il bergamasco Alberto Ravasio, presente il 3 marzo. Al suo esordio con «La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera», edito Quodlibet, «è un Woody Allen della narrativa conclude Cortellessa—. L'autore si ispira alle Metamorfosi di Kafka con un io narrante irresistibile. Non c'è pagina che non prenda le mosse da un cortocircuito linguistico da sitcom».

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