Recensioni / Il poeta Pasolini e le contraddizioni nella drammaturgia

Regista, poeta, narratore, oltre che intellettuale impegnato e originale, Pasolini fu osservatore acuto dei cambiamenti della società italiana, suscitando spesso accese polemiche per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici ad es. nei confronti della nascente società dei consumi, come anche del Sessantotto. E' pertanto benvenuto il libro di Paolo Desogus, professore associato di letteratura italiana alla Sorbona di Parigi, "Laboratorio Pasolini" (ed. Quodlibet), che con garbo ci guida nel saggio ricco e assai documentato attraverso le tappe cruciali della sua produzione e riflessione sul segno e sul cinema, fornendoci delle preziose chiavi di lettura.
Il titolo sottolinea la presenza nelle opere di Pasolini di elementi metalinguistici, così che sperimentazione stilistica e riflessione sui sistemi espressivi dialoghino. D'altronde il cinema fu vera e propria ricerca intellettuale e filosofica per Pasolini, che intese la regia come una forma di scrittura e inoltre accompagnò sia le opere scritte che quelle cinematografiche e teatrali con interviste, dichiarazioni, saggi (il "paratesto"). Illuminanti gli approfondimenti su alcune scelte tecniche, sempre pienamente inquadrate nell'ambito della poetica di Pasolini, come l rifiuto della presa diretta a favore del doppiaggio capace di arricchire la qualità espressiva del personaggio; o l'uso della soggettiva libera indiretta, ossia della tecnica di ripresa che consente di compenetrare il vedere dell'autore con il vedere del personaggio, per certi aspetti il corrispettivo dello stile indiretto libero dei romanzi romani.
E così Desogus ci regala delle analisi di grande finezza, innanzitutto a proposito del cortometraggio `La ricotta", in cui si svela anche la funzione mediatrice svolta dalla tradizione artistica con i riferimenti a Pontormo e a Rosso Fiorentino; o a proposito di "Teorema" che narra la disgregazione di una famiglia dell'alta borghesia milanese in seguito all'irrompere di un ospite; o a proposito de "Il fiore delle Mille e una notte", in cui l'uso della soggettiva libera indiretta è espediente per "mostrare il desiderare il desiderio altrui"; o ancora aproposito di "Salò", quando Pasolini ha ormai sconfessato la convinzione che i diseredati siano davvero depositari di un vitalismo autentico e irriducibile. Un capitolo propone una rilettura dei saggi pasoliniani dedicati a lingua, letteratura, cinema, i quali si fondano sull'attenzione alla tradizione linguistica italiana e al nesso tra fenomeni linguistici e processi storico-politici sulla scorta di Gramsci. E notevoli sono le pagine dedicate proprio al rapporto con Gramsci e alla ricostruzione critica del dibattito con diversi studiosi italiani (tra cui Eco) e stranieri.