Continua la meritevole pubblicazione degli interessanti volumi della collana Chorus della Quodlibet, benemerita casa editrice marchigiana. Ecco qui la quarta uscita e, come al solito, il soggetto è d'importanza rilevante: Louis Armstrong. Grazie all'originale cura di Thomas Brothers, a quella italiana dell'attentissimo Stefano Zenni e all'efficace traduzione di Giuseppe Lucchesini, facciamo conoscenza di un aspetto poco noto del grande musicista novorleansiano. Infatti il buon Pops, oltre all'amata tromba, aveva una passione viscerale per la scrittura. Recensendo tre anni fa il resoconto Lomax di Jelly Roll Morton, rilevavo quanto la chiacchiera libera e scevra da autocensure fosse la cifra identitaria dell'eloquio del pianista della Louisiana. Con ogni probabilità mi sbagliavo. Per difetto. Il tessere le proprie lodi, in barba a qualsiasi minima vocazione all'umiltà, è(ra) contraddistintivo non solo di Morton ma di molti musicisti novorleansiani di quell'epoca. E Mr. Armstrong, of course, non fa eccezione. Stiamo ovviamente parlando di un genio della musica del '900 a cui persino un Leonard Bernstein indirizzava la propria riconoscente stima. Ma per il trombettista il libero pronunciarsi in forma verbale e, soprattutto, scritta era, come detto, esigenza primaria quanto il suonare. Ecco perché il nostro in vita scrisse molto (tra le altre cose Satchmo. La mia vita a New Orleans, in Italia edito da Minimum Fax) e, in questo vasto panorama, trovano un posto di assoluta preminenza questi scritti che provengono principalmente dagli archivi della Louis Armstrong House Museum. Ma altre importanti fonti sono state la Louis Armstrong House and Archives presso il Queens College/CUNY e l'Institute of jazz Studies della Rutgers University nel New Jersey. Armato della sua macchina da scrivere portatile (ma non disdegnando pure l'uso della penna), il buon Satchmo redigeva (alla velocità della luce, anzi di un lampo), con perspicacia quasi pari alla sua musicalità, missive indirizzate ad amici e sodali, repliche gustose destinate ai giornalisti, istruzioni da dispensare al suo manager Joe Glaser (specie sul come gestire la pletora di amanti), ma in special modo resoconti di rimembranze, conditi da peculiare aneddotica, da dove traspare per intero la composita e varia realtà antropologica della Big Easy di inizio '900. In questo fitto magma di reminiscenze, chiarimenti ed invettive, trovano spazio la sua poverissima infanzia novorleansiana condita da vicinato ebreo (i Karnofsky), l'eterna devozione a King Oliver, il suo prendere le distanze da presunti suoi debiti stilistici nei confronti di Bunk Johnson e la stima rivolta ad Isidore Barbarin, grande cornettista e padre di Paul Barbarin, batterista che con Baby Dodds e Zutty Singleton formava una vera e propria Trimurti dello strumento nel jazz primigenio. Ma il lettore rimane affascinato pure dal racconto dettagliato del regale rispetto di cui Satchmo godette nei suoi anni chicagoani ed anche dalla corrispondenza avuta con il critico belga Robert Goffin, colui che pubblicò nel 1932 l'opera Aux Frontières du Jazz, primo libro affidabile e dignitoso sul jazz, la cui dedica era rivolta proprio ad Armstrong. Iniziò, quindi, a livello epistolare una bella amicizia fra i due e potremmo tranquillamente dire che i Taccuini Goffin nascondono un vero tesoro. In origine costituivano soltanto una serie di narrazioni e spunti di Satchmo che con ogni probabilità sarebbero poi confluiti nella biografia dallo stesso commissionata (in piena guerra!) al critico belga e che fu poi pubblicata nel 1947 col titolo Horn of Plenty. Ma quei fogli rappresentano innanzitutto un racconto alquanto fedele della jazz age dal punto di vista dei neri d'America e di quello che vivevano. Interessante pure una lettera, del ’41, indirizzata all'eminente critico Leonard Feather (l'ideatore del blindfold test) affinché quest'ultimo facesse breccia nelle grazie del suo manager Joe Glaser circa il preparare arrangiamenti dei suoi brani più gettonati nei juke box (nell'originale chiamati venders) in modo che il pubblico dei concerti ascoltasse quelle versioni, cioè quelle a cui era abituato per consuetudine d'ascolto. Un altro documento importante è quello in cui mostra ampia gratitudine e riconoscenza al suo storico manager, il succitato Glaser, che lo mise al riparo da sfruttatori del tipo ti faccio un'offerta che non puoi rifiutare. Complementari poi alla parte scritta sono pure le foto e le preziose note di commento ai testi.