Recensioni / Roberto Redaelli, Per una logica dell'umano

Per una logica dell’umano traccia un percorso di ricerca volto a evidenziare i punti di contatto tra le repliche offerte da Wilhelm Windelband e dai suoi allievi di prima (Heinrich Rickert) e seconda (Emil Lask) generazione a quella che Kant coglie come quarta fondamentale domanda del filosofare: «che cos’è l’uomo?». Il lavoro di Roberto Redaelli intende rispondere a una duplice esigenza: collocarsi entro un dibattito storiografico sul neokantismo del Baden e insieme guardare al peso che alcuni spunti riconducibili alla scuola di Windelband potrebbero rivestire entro la discussione contemporanea sull’antropologia, non solo «filosofica». Possiamo anticipare che gli obiettivi prefissati dall’autore sono ben conseguiti, attraverso un denso percorso che si dipana lungo cinque capitoli: (i) Lineamenti di antropologia assiologica. Rickert e il soggetto pratico (ii) Dall’antropologia filosofica alla logica dell’umano. La prima struttura invariante dell’uomo: l’essere mondano (iii) La seconda struttura invariante: la storicità dell’uomo (iv) Il primato della ragion pratica in logica: il soggetto teoretico (v) La logica dell’umano: attualità e limiti.
Per una logica dell’umano si colloca entro un quadro di ricerche sul neokantismo badense, che in anni recenti parrebbe aver in particolare rivolto il proprio fuoco di interesse sul più giovane dei filosofi affrontati da Redaelli: Lask. Proprio questi è d’altronde oggetto di una precedente monografia dell’autore (Emil Lask. Il soggetto e la forma, Quodlibet, Macerata 2016) e di una silloge di bilancio (Emil Lask. Un secolo dopo, Quodlibet, Macerata 2017), curata insieme a Stefano Besoli, che scrive anche la prefazione a Per una logica dell’umano (pp. vi-x). Nell’ultimo ventennio, la ricerca italiana è stata probabilmente quella che, a livello internazionale, maggiormente si è impegnata a innovare e ampliare la ricerca su Lask. Dopo una antecedente fase di lavori a matrice prevalentemente filosofico-giuridica (Agostino Carrino, L’irrazionale nel concetto. Comunità e diritto in Emil Lask, ESI, Napoli 1983), sono venuti susseguendosi a breve distanza diversi volumi sul filosofo (cfr. Claudio Tuozzolo, Emil Lask e la logica della storia, FrancoAngeli, Milano 2004, Felice Masi, Emil Lask. Il pathos della forma, Quodlibet, Macerata 2010, Daniele Petrella, La “silenziosa esplosione del neokantismo”. Emil Lask e la mediazione della fenomenologia di Husserl, Aracne, Roma 2012X Antonino Spinelli, L’irrazionalità del pensabile. Vita e riflessi one nella filosofia di Emil Lask, CLUEP, Padova 2019, Stefano Besoli, Forma categoriale e struttura del giudizio. Sull’incompiutezza sistematica del pensiero di Emil Lask, Quodlibet, Macerata 2019 e Giacomo Gambaro, Emil Lask e le matrici neokantiane dell’empirismo trascendentale, Mimesis, MilanoKUdine 2022). Meno intensa, soprattutto se vista a confronto con quella laskiana, è invece negli ultimi decenni la ricerca italiana su Windelband (cfr. – oltre ad alcuni saggi di Massimo Ferrari e Beatrice Centi –, Rossella Bonito Oliva, Il compito della filosofia. Saggio su Windelband, Morano, Napoli 1990, Stefano Besoli, La coscienza delle regole. Tre saggi sul normativismo di Windelband, Vallecchi, Firenze 1996 e G. Morrone, Valore e realtà. Studi intorno alla logica della storia di Windelband, Rickert e Lask, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013), qui pare in particolare il debito contratto da Windelband con la filosofia della «validità» di Rudolf Hermann Lotze a costituire un importante spunto di interesse. Infine, più costante appare l’attenzione che l’Italia ha rivolto negli ultimi decenni a Rickert, dove si segnalano – tra gli altri – i lavori di Antonello Giugliano, Nietzsche – Rickert – Heidegger (ed altre allegorie filosofiche) , Liguori, Napoli 1999, Anna Donise, Il soggetto e l’evidenza. Saggio su Heinrich Rickert, Loffredo, Napoli 2002X Luca Oliva, La validità come funzione dell’oggetto. Uno studio sul neokantismo di Heinrich Rickert, Franco Angeli, Milano 2006 e Marcello Catarzi, A ridosso dei limiti. Per un profilo filosofico di Heinrich Rickert lungo l’elaborazione delle Grenzen, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006.
Questo succinto stato dell’arte consente di afferrare meglio gli elementi di novità del lavoro di Redaelli, che per l’appunto muove a una riconsiderazione del neokantismo sudoccidentale sotto uno preciso angolo visuale: la «logica dell’umano». Quest’ultima costituisce per l’autore l’autentico filo rosso che connette l’indagine di Windelband, Rickert e Lask: «Ma benché tale movimento di pensiero, a eccezione dell’ultimo Rickert, non mirò a delineare una vera e propria antropologia, bensì guardò sempre allo sviluppo di una dottrina formale del sapere, a una fichtiana Wissenschaftslehre e accanto a ciò a una Kulturphilosophie declinata valorialmente, è possibile rintracciare in seno alle sue riflessioni – [...] – una teoria formale dell’uomo, potremmo dire, una logica dell’umano, volta a individuare le strutture invarianti, le categorie proprie della nostra humanitas» (pp. 4K5). Tale «logica» poggia su «tre pilastri inaggirabili: il dispositivo valoriale, la nozione di Stellungnahme e una precisa mereologia» (p. 5). La logica dell’umano accoglie e reinterpreta il kantiano primato della ragion pratica, mediandolo attraverso il ricorso a una nozione di valore di «chiara matrice lotzeana» (ibid. ). L’uomo è l’unico ente che «prende posizione»: «la Stellung des Menschen im Weltganzen è caratterizzata dalla Stellung des Menschen zur Welt, ossia dalla presa di posizione rispetto al mondo» (p. 6).
Quella «dell’umano» è una «logica» sui generis e allo stesso tempo solo molto parzialmente congruente con l’antropologia filosofica novecentesca, ossia quella tradizionalmente riconducibile ai nomi di Max Scheler, Helmuth Plessner e Arnold Gehlen. Benché in termini indiretti, un confronto con alcuni temi di questa antropologia filosofica è, tra i filosofi affrontati nel libro e non da ultimo per motivi di ordine cronologico, appannaggio del solo Rickert. Rispetto a tale interazione a distanza, di cui testimonia l’ultimo volume edito in vita dal filosofo (Heinrich Rickert, Grundprobleme der Philosophie. Methodologie-Ontologie-Anthropologie, Mohr, Tübingen 1934), Redaelli cerca di ampliare le basi documentarie, rivolgendosi al Nachlass e in particolare ai manoscritti di lezione relativi ai corsi estivo 1932 (Social-Philosophie-Grundzüge der Ethiund Erotik) e invernale 1932K1933 (Grundprobleme der Philosophie). Proprio nel primo corso «Rickert introduce sistematicamente l’espressione philosophische Anthropologie nel proprio vocabolario» (p. 12). Anche alla luce di ciò, Redaelli procede a un ripensamento complessivo dell’ultimo segmento intellettuale di Rickert, che annovera anche una Auseinandersetzung con l’ontologiaX d’altronde sono proprio i nomi di Nicolai Hartmann e Martin Heidegger a figurare nella Prefazione al volume rickertiano Die Logides Prädikats und das Problem der Ontologie, Winter, Heidelberg 1930.
L’analisi dei «lineamenti di antropologia assiologica» è impostata da Redaelli attraverso un confronto con il concetto di valore del neokantismo badense, ossia con quanto è stato individuato quale primo «pilastro inaggirabile» della logica dell’umano. Ambito assiologico che, entro la scuola di Windelband e sulla scia di Lotze, viene collocandosi quale «terza sfera», ulteriore rispetto alle «due tradizionali dimensioni ontologiche del sensibile e del sovrasensibile» (p. 52). Al riguardo, il valore «benché riferito ai beni e colto dagli atti, non si lascia ridurre né all’oggetto cui inerisce né alla dimensione soggettiva entro cui è valutato» (p. 53). In tal senso, anche il ruolo assegnato da Rickert ai valori assolve una duplice funzione: «da un lato, esso costituisce un chiarimento filosofico-trascendentale dell’esistenza umana, dall’altro lato, sul piano empirico, il valore orienta la vita del soggetto pratico, produttore di quei beni materiali e immateriali che sono oggetto dell’analisi trascendentale» (p. 55).
La posizione dell’uomo rispetto al mondo, e conseguentemente ai valori, introduce a quello che è il secondo «pilastro» della logica dell’umano: la «Stellungnahme». Si tratta di un tema delicato e connotato da precisi risvolti teoretici, che assume la propria specifica fisionomia attraverso la fondamentale distinzione windelbandiana tra «giudizio [Urteil]» e «valutazione [Beurteilung]»: «Per Windelband, tutte le proposizioni della conoscenza sono già una combinazione, un insieme di giudizio e valutazione, poiché – ad eccezione della domanda e del giudizio problematico – nell’attività predicativa si ha già sempre valutato mediante l’assegnazione di un valore di verità» (p. 120). Ciò conduce Windelband a specificare che «il giudizio negativo è una valutazione sul valore di verità di un giudizio, mediante la quale la coscienza esprime il proprio dissenso rispetto al giudizio teoretico positivo» (p. 121). Tali tesi windelbandiane appaiono sotto questo specifico riguardo filtrare nell’opus maius di Rickert Der Gegenstand der Erkenntnis (Freiburg i.Br. 18921), dove «la nozione di presa di posizione è collocata al centro della gnoseologia rickertiana, mostrando come la ragion pratica, che informa trasversalmente le diverse sfere della vita umana, strutturi anche il campo del conoscere [...] per Rickert, la verità è un valore e conseguentemente l’ambito del senso teoretico non è altro che un ambito assiologico» (p. 127). Si tratta dunque per Rickert di un primato del pratico, che «non ha nulla a che vedere con la morale» (p. 133), ma che riveste un ruolo chiave sul piano gnoseologico. Ci troviamo di fronte a quel giro di riflessioni che, per alcuni versi a ragione, ha condotto Heidegger a qualificare come «neofichtianesimo» (p. 4) il connotato teoretico della scuola badense.
Veniamo infine al terzo «pilastro» della logica dell’umano, ossia alla logica «mereologica»: «i tre maggiori rappresentanti della Badische Schule identificano l’origine di tale logica nella trattazione kantiana dello spazio e del tempo» (p. 135). Proprio quest’ultima offre difatti a Rickert la via per cogliere «la differenza tra due diverse dinamiche del pensiero troppe volte confuse e indebitamente sovrapposte l’una sull’altra nel corso della storia della filosofia: la prima sussume il particolare sotto l’universale, la seconda considera il particolare come parte dell’intero» (ibid.). Quest’ultima è quella che, benché in termini differenziati, perseguono gli allievi di Windelband. Si tratta di un punto che ben si lega con il piano lato sensu antropologico, poiché «il mondo umano, nel suo insieme, è, da un punto di vista formale, un intero, le cui parti sono eterogenee e insostituibili: ognuna di esse ha una sua peculiare forma e una singolare posizione in seno all’intero, ognuna di esse èv unica» (p. 137).
Il primato del pratico di Windelband e Rickert appare a Redaelli, pur nelle differenti sfumature, come qualcosa che, lo si è già detto, «non ha nulla a che vedere con la morale». A Lasinvece spetterebbe il merito, proprio nel progressivo distacco dalle posizioni di Rickert, di attingere «una nuova figura» della soggettività, «caratterizzata nella inequivocabile centralità assegnata, nel campo cognitivo, alle funzioni ricettive e intuitive. Il soggetto conoscitivo, per Lask, non è più identificabile con la coscienza giudicante rickertiana» (p. 141). Come ricorda in tal senso Redaelli, a partire dal 1908 Las inizia progressivamente a distanziarsi dall’«“inopportuno accessorio eticizzante”» (p. 139) della gnoseologia rickertiana. Rimane tuttavia aperta una domanda: è effettivamente possibile concepire quest’ultima gnoseologia come del tutto priva di collegamenti con la morale? Si tratta di un tema delicato, ossia di quello che notoriamente origina nella sezione terza del secondo capitolo della kantiana «Dialettica della ragione pura pratica» nella seconda critica, incentrata sul tema dell’«interesse» della «ragione pura pratica». Fra i molti, il libro di Redaelli ha il merito di porre attenzione su una logica dell’umano curvata su una specifica fisionomia di primato del pratico, in senso non morale. Rispetto a quest’ultima opzione tuttavia, come d’altronde proprio Kant rammenta, occorre ribadire che «è sempre e soltanto una sola e medesima ragione che, sia sotto il rispetto teoretico sia sotto quello pratico, giudica secondo principi a priori».