Quante volte Goethe nelle sue opere
ci ha parlato della bellezza delle affinità di spirito o della ricchezza nel
trovare dei compagni d'anima. Pensiamo soltanto al Wilhelm Meister e
alle Affinità elettive... Certo però avere la fortuna e la gioia di trovare in vita delle corrispondenze d'animo cosi
profonde è tutta un'altra storia.
«Tanti auguri per il nuovo anno!
Facciamo in modo di trascorrerlo come abbiamo terminato il precedente, prendendo vicendevolmente parte
a ciò che amiamo e coltiviamo. Che
fine faranno la società e la socievolezza se gli spiriti affini non entrano in contatto tra loro? Mi rallegra
la speranza che l'influenza reciproca
e la confidenza tra noi aumenteranno
sempre più».
Goethe scrive a Schiller il 3 gennaio del 1795. Ai tempi Schiller vive ancora a Jena ma se a qualcuno di
voi è mai capitato di visitare la casa
del drammaturgo a Weimar an der
Esplanade (dove visse dal 1802 fino
alla sua morte) e quella del padre di
Faust am Frauenplan 1, vi ricorderete che non ci può essere nulla di più
diverso. La casa di Goethe dagli spazi ampi e luminosi è sontuosa, impreziosita sin nel più piccolo dettaglio
con uno splendido giardino sul retro;
quella di Schiller invece più sobria,
spartana e classica. Se le case ne avessero rispecchiato gli animi potremmo
dire che mai due persone furono più
diverse, ma leggendo le loro lettere e
diventando testimoni di un profondo sodalizio umano e professionale in
crescendo non possiamo che riconoscere in loro due compagni d'anima
(nella foto ritratti nel monumento di
Ernst Rietschel a Weimar davanti al
Nationaltheater).
Non fu però amore a prima vista
come conferma Maurizio Pirro curatore insieme a Luca Zenobi del volume uscito per Quodlibet che raccoglie
il carteggio integrale tra i due letterati
dal 1794 al 1805. Galeotta fu la lettera
di Schiller a Goethe il 13 giugno 1794
in cui si rivolge a lui con «Illustrissimo signore, Stimatissimo signor
Consigliere Segreto» in cui gli chiede di collaborare alla rivista «Horen».
«Goethe a quel tempo ha già una posizione sicura come uomo di potere anche nel campo culturale mentre
Schiller è il classico outsider. Questa differenza si rispecchia nelle prime fasi del loro rapporto caratterizzate da reciproca diffidenza. All'inizio
non si sono affatto simpatici, si evitano. Goethe vede in Schiller un giovane intemperante, un letterato privo di
gusto, Schiller vede in Goethe l'uomo di potere che pratica una concezione conservatrice della letteratura e
dell'arte. Le cose cambiano con l'incontro che avviene nel 1794 alla viglia
del carteggio. La diffidenza iniziale
tra i due viene superata dalla capacità di Schiller di toccare alcuni punti su cui Goethe era molto sensibile».
E evidente nella lettera a Goethe del
28 agosto del 1794 «nota come lettera
di compleanno» in cui egli lo lusinga
e traccia con mirabile sintesi il profilo di una personalità spirituale e culturale. «Goethe per la prima volta si
sente profondamente compreso, sente
di avere vicino un interlocutore capace di cogliere la grandezza, la molteplicità del suo disegno culturale». A
soprendere del carteggio è anche la
grande cura, la gentilezza, l'attenzione che i due hanno l'uno per l'altro.
«C'è una grande sollecitudine. L'epistolario in Germania è stato letto come un documento significativo non
soltanto dal punto di vista della storia dell'arte e dal punto di vista della
storia delle idee, ma anche perché l'amicizia, la solidarietà che si sviluppa
tra i due si estende a tutto il complesso della loro esistenza. C'è una continua premura, una continua cura reciproca che riguarda non soltanto le
comuni imprese di carattere letterario e culturale ma tocca una profonda
consonanza sul piano del gusto, tocca anche una empatica partecipazione di entrambi alle vicende della vita privata di ciascuno dei due. E un
documento culturale ma innanzitutto
di una profonda affinità umana». Le
lettere contengono molte sfumature
della loro vita quotidiana e domestica,
Schiller conclude le sue mandando a
Goethe i saluti della moglie, condividono i loro acciacchi e spesso si inviano casse di legno colme di verdure
appena raccolte o addirittura dei pesci
appena acquistati.
Il loro scambio è un nutrimento
di spirito e di cuore: «I nostri recenti
incontri hanno rimesso in moto tutto il complesso delle mie idee... l'intuizione del Vostro spirito ha acceso
in me una luce inattesa» (Schiller a
Goethe il 23 agosto 1794); si inviano i
manoscritti delle loro opere, collaborano agli epigrammi, Goethe chiede
consiglio a Schiller per il suo Wilhelm
Meister e Schiller a lui per il Wallenstein. Ed è proprio grazie a Schiller
che Goethe decide di riprendere in
mano la materia del Faust tanto che
all'indomani della sua morte nel 1808
Goethe pubblicherà la prima parte
della sua opera: «E evidente il debito,
il legame maturato negli anni precedenti con il drammaturgo».
«Tutta la materia del Meister è pervasa nell'immaginazione di Goethe
da un fittissimo, inespugnabile significato simbolico. Il Meister che noi
intendiamo come romanzo di formazione mostra progressivo sviluppo delle migliori capacità dell'individuo alla ricerca di un accordo tra le
facoltà del singolo e le necessità della
comunità in cui il singolo è iscritto.
Ecco Schiller, in vari passaggi, trova
questa costruzione simbolica, eccessivamente astratta, troppo difficile da
decodificare e induce Goethe a una
più netta esplicitazione della propria
intenzione».
Schiller invece chiede lumi all'amico sul motivo astrologico nel suo
Wallenstein «Goethe e Schiller sono
innanzitutto — tra le tante altre cose
— due uomini di teatro, per questo la
discussione che si sviluppa tra loro riguarda soprattutto la teatrabilità della
materia — la maggiore o minore efficacia della resa dello spettacolo a teatro. Goethe ritiene il motivo astrologico troppo astratto per riuscire a
realizzare un effetto sicuro sul pubblico e sollecita Schiller a concretizzarlo
in maniera più netta e a renderlo più
facilmente comprensibile allo spetta tore. Ma la discussione tra i due supera poi aspetti di carattere contingente
e va a toccare la funzione complessiva
che il teatro deve assumere nel progetto culturale che è alla base della loro collaborazione». Nello spirito
del classicismo il 1 teatro doveva avere una finalità pedagogica, il pubblico
doveva essere educato, «doveva essere portato a sviluppare gradualmente
tutte le proprie migliori capacità e a
sviluppare l'intero spettro della propria umanità. Lo spettacolo teatrale
doveva contribuire al perfezionamento spirituale, alla crescita morale dello
spettatore».
Il Settecento europeo è il secolo
delle grandi scritture epistolari, pensiamo a Pamela, o la virtù ricompensata di Samuel Richardson (1741) o a La
nuova Eloisa di Rousseau (1761). «La
lettera è il mezzo privilegiato della
comunicazione tra dotti, tra eruditi,
è il mezzo che dà corpo e sostanza a
un altro grande ideale che è alla base di tutta la cultura del Settecento:
la socievolezza, l'apertura degli intellettuali a una dimensione collettiva,
comunitaria».