L'ultimo scritto che
Georges Perec vide
pubblicato in vita
nel 1982, pochi mesi prima di morire
neanche cinquantenne, si intitola Pensare/Classificare e sembra racchiudere in sé
una dichiarazione di metodo
che, in pieno stile perechiano, è
destinata a fallire.
Cosa effettivamente ha fatto questo straordinario scrittore francese in tutta la sua opera se non
provare, pensando e classificando, a ordinare la sua vita e tutto
ciò che gli scorreva attorno? E cosa è stato questo tentativo di classificazione se non una peculiare
via per provare a comprendere e
catturare il mondo?
D'altronde lo dice lo stesso Perec
in un testo di qualche anno precedente, Note su ciò che cerco, dove dopo aver sottolineato di non
aver mai "scritto due libri simili"
riflette sul fatto che, seppur diversi, i suoi libri «pongono forse
tutti la stessa domanda, ma secondo prospettive particolari
che ogni volta corrispondono
per me a un diverso tipo di lavoro letterario».
Ecco, come suggerisce lo scrittore, che così vanno comprese le interrogazioni di tipo "sociologico", come il primo romanzo Le cose che guarda al quotidiano attraverso la vita ordinaria di una
coppia degli anni Sessanta, "autobiografico", la straordinaria riflessione sull'assenza materna
di W o il ricordo d'infanzia, "ludico", i giochi linguistici e letterari
debitori dell'Oulipo (Ouvroir de
Littérature Potentielle, un gruppo di scrittori uniti dalla sperimentazione sulla scrittura attraverso giochi matematici e combinatori) e costruiti su palindromi, lipogrammi e quant'altro come il romanzo senza lettera "e"
La scomparsa, e "romanzesco", libri che "si divorano stando comodamente a letto" come il celebre La vita istruzioni per l'uso, intreccio di vite in un condominio
parigino.
La spinta autobiografica
È in ogni caso innegabile come
pure in una varietà assoluta
ogni libro di Perec viva dentro
una spinta autobiografica, provando a integrare la sua esperienza dentro la grande storia
del Novecento, un processo che
passa dai momenti capitali di
una vita, ma anche dal riferimento a un qualsiasi avvenimento
comune capitato durante una
giornata. Classificare il mondo e
ordinare ciò che si presenta davanti agli occhi è quindi il demone che abita quasi ogni pagina di
Perec, sia questa occupata da un
elenco, una lista, una descrizione o da un'ariosa struttura romanzesca. Il mondo è un "puzzle", scrive Perec in quel testo del
1982, e irresistibile appare «la
tentazione di distribuire il mondo intero in un unico codice», di
provare a completare il puzzle,
ma la legge universale che dovrebbe reggere tutti i fenomeni
del mondo «non funziona, non
ha neppure mai cominciato a
funzionare, non funzionerà
mai», perché ad affiorare continuamente sono schegge di questo mondo, pezzetti fluttuanti
che non si incastrano.
L'infra-ordinario
Per comprendere la natura
dell'immersione dello scrittore
dentro questo marasma di frammenti, si dovrebbe innanzitutto
cominciare dal riconoscere il valore che Perec assegna alla scrittura, strumento eccezionale che
può concentrarsi su ogni cosa e
che, grazie allo sguardo peculiare dell'autore, può conferire anche alle cose ordinarie e quotidiane un'intensità inedita capace di sconvolgere e meravigliare.
Così si spiega la scelta di Perec
nell'ottobre del 1974 di sedersi
per tre giorni in place Saint-Sulpice a Parigi, osservare e trascrivere tutto ciò che si muove nella
piazza provando a "esaurire" la
realtà e attraverso un simile punto di vista si possono leggere i vari testi che compongono L'infra-ordinario (ripubblicato adesso da Quodlibet con la traduzione di Roberta Delbono), un libro
composito dove Perec parla di
ciò che è così normale e scontato
da rischiare di scomparire dalla
realtà e che invece, attraverso la
sua attenzione e la sua scrittura,
attira l'interesse della letteratura. «Quel che ci parla, mi pare, è
sempre l'avvenimento, l'insolito, lo straordinario» scrive Perec
in Approcci di cosa che funziona
come eccezionale apripista per i
testi che seguiranno. «I giornali
parlano di tutto, tranne che del
giornaliero. Quello che succede
veramente, quello che viviamo
dov'è? Il banale, il quotidiano, l'evidente, il comune, l'ordinario,
l'infra-ordinario, il rumore di
fondo, l'abituale, in che modo
renderne conto, in che modo descriverlo?» si chiede Perec, dandosi la possibilità di fondare
una propria antropologia in grado di parlare di sé, di interrogare
non più «l'esotico, ma l'endotico», l'abituale, per «risvegliarci
da un sonno senza sogni».
Ripetizioni quotidiane
Così acquista senso tornare per
sei anni e in momenti della giornata e dell'anno diversi in rue Vilin, la via dove lo scrittore è nato
e da dove fuggirà perdendo per
sempre la madre a causa delle
persecuzioni antisemite naziste
(un doppio angolo «dà alla via l'aspetto generale di una S molto allungata, come nella sigla Ss» scrive Perec tragico profeta ex-post),
e annotare cosa cambia, le insegne che si modificano con il tempo, i terrazzi che si abitano di
nuovi inquilini o restano chiusi,
la scomparsa di tintorie e negozi
di parrucchieri, le insegne dei
bar che si illuminano la notte o
lavori edilizi di grande portata
che modificano il paesaggio.
Qui risalta come l'attenzione dello scrittore sia in grado di catturare tanto minimi dettagli transitori (un passante, una donna
che si affaccia al balcone) quanto ciò che per anni farà mostra
della sua presenza (targhe, scritte sui muri, insegne), ma anche
come tutto questo materiale infra-ordinario e temporaneo (come gli oggetti che occupano la
scrivania descritti con una minuzia che rasenta l'ossessione in
Stili Life/Style Leaf, sorta di esperimento di intaglio nello scorrere
del tempo) sia destinato ad andare perduto allo scoccare di ogni
secondo.
La scrittura diventa così ancoraggio di ciò a cui non si presta attenzione, «la veste che si mette il
tempo», ha scritto Ermanno Cavazzoni, uno strumento che poi,
attraverso il ricordo, genera quella malinconia che tanto attirava
Perec, lanciato continuamente
nel desiderio di fermare il tempo ed esaurire lo spazio, di stanare le cose comuni per parlare «di
quello che è, di ciò che siamo»
perché è in quello che si ripete
ogni giorno che la vita succede
veramente.