Recensioni / Lo scrittore e il suo dittatore

Occorre chiarire subito un punto: Sul fascismo, la dittatura militare e Salazar di Fernando Pessoa (1888-1935),pubblicato in Portogallo nel 2015 e appena tradotto in italiano da Vincenzo Russo, è un libro per addetti ai lavori, destinato esclusivamente agli studiosi del poeta lisbonese. Quella che a un primo sguardo potrebbe sembrare un'antologia di scritti politici sulle dittature mediterranee del Novecento, infatti, è in realtà una raccolta di testi rimasti in buona parte allo stato di abbozzo: pagine di appunti, minute di lettere, scarti di articoli, frammenti di poesie e scalette di saggi, selezionati e ordinati dal curatore José Barreto per dimostrare l'innocenza di Pessoa dall'accusa, tanto iterata quanto infondata, di «protofascismo».
Non per nulla il libro è costruito come una memoria difensiva, composta da un lungo atto introduttivo dell'«avvocato» Barreto e da centoventitré allegati del suo «cliente» Pessoa. L'obiettivo del «ricorso» è dichiarato sin dalle prime righe: smantellare l'«intrigante campagna critica» che, a partire dai primi anni 70, ha insistentemente cercato di «fascistizzare il pensiero» dello scrittore, annettendolo al novero dei cattivi maestri del Novecento.
Buono o cattivo che fosse, il «poeta degli eteronimi» non fu, Barreto ne è certo, né un ammiratore di Mussolini né un adepto di Salazar. E per sostanziare questa convinzione ha scandagliato il suo archivio personale (oggi alla Biblioteca nazionale di Lisbona) alla ricerca di ogni minima testimonianza delle sue idee politiche, comprese le più compromettenti. Perché l'accusa, va detto, non era del tutto priva di fondamento. Nel 1928 Pessoa aveva firmato uno sciagurato pamphlet in difesa della dittatura militare in Portogallo (O Interregno) in quanto «unica strada per la salvezza e rinascita del Paese». E a questo opuscolo, in seguito ricusato, avevano fatto da coro alcune dichiarazioni schiettamente antidemocratiche e molti versi ardentemente nazionalisti. Prove a carico da non sottovalutare.
Disponendo in ordine cronologico tutto quanto rintracciato, Barreto è riuscito tuttavia a dimostrare che il pensiero politico del poeta subì, sì, alcuni sbandamenti autoritari, ma rimase sostanzialmente quello di un conservatore di tipo inglese, al tempo stesso monarchico e liberale.
Non che questo avesse reso immune Pessoa dal fascino discreto delle dittature novecentesche. La marcia su Roma di Mussolini (1922), il colpo di stato di Primo de Rivera (1923), i primi passi politici di Salazar (1928) furono da lui osservati con un'attenzione a tratti morbosa; ma è indubbio che l'autoritarismo di quei tre regimi gli ripugnasse, specialmente quando colpiva le libertà a lui più care, vale a dire quelle di espressione e di associazione. La sua ostilità verso Salazar esplose non a caso quando, nel1935,il «tirannino» dell'Estado Novo difese pubblicamente la censura (che lo danneggiava come scrittore e polemista) e approvò lo scioglimento delle associazioni segrete (che lo colpiva come iniziato dell'ordine templare).
Né un fascista né un salazarista, dunque, ma nemmeno lontanamente un democratico: «Quanto più grande è il grado di cultura generale in una società - aveva scritto nell'Interregno per giustificare il suo elitarismo - tanto meno essa si sa orientare, poiché la cultura vuole inevitabilmente servirsi dell'intelligenza per fondare opinioni, e non esiste opinione che si fondi sull'intelligenza».
Di certo - ma questo lo sapevamo già - fu un fervente nazionalista che, attraverso le proprie poesie, cercò di tenere in vita l'anima del Portogallo, spirata assieme al re Sebastiano I nella battaglia di Ksar El Kibir (1578). Un nazionalismo mistico e messianico che, nel bene o nel male, nutrì versi come questi: «O salso mare, quanto del tuo sale / sono lacrime del Portogallo! / Per solcarti, quante madri piansero, / quanti figli pregarono invano! / Quante promesse spose restarono promesse / perché tu fossi nostro, o mare! / Valse la pena? Tutto vale la pena / se l'anima non è angusta / Chi vuole andare oltre Capo Bojador / deve passare oltre il dolore. / Dio dette al mare pericolo e abisso, / ma è nel mare che rispecchiò il cielo» (Mensagem, 1934, trad. di Antonio Tabucchi).