Recensioni / Pennellate di mondanità e cultura

Il Giornale di pittura (Quodlibet) è una scrittura in tempo live che attraversa, dal 1954 al 1964, uno dei momenti decisivi dell'uomo e dell'artista Scialoja (1914-1998). L'edizione integrale e inedita, affidata dalla Fondazione Toti Scialoja e Gabriella Drudi ai curatori Maria De Vivo, Laura lamurri, Onofrio Nuzzolese, Angelandreina Rorro, componenti del comitato scientifico, è lo splendido documento di un'epoca, tra letteratura, arte, mondanità e cultura.
Siamo a Parigi, nel 1954: «Le principal c'est d'avoir envie de continuer, leggo in una lettera di Bonnard esposta sotto vetro al Museo d'arte moderna (la lettera è diretta a Signac). Il domani non deve più spaventarmi, perché questa voglia non può che aumentare sempre. La pittura ha preso per mano la mia vita, volevo forse dire il contrario, ma è lo stesso, e va avanti». Scialoja si riconosce nel doppio dello specchio: l'artista e l'uomo si tengono per mano; il monologo dell'Io diventa subito un dialogo incessante e misterioso, lo stesso che lega Bonnard a Signac. Colpisce quella forza del corpo e subito dell'anima: prendere a morsi il tempo, avere voglia, sentirsi dentro la vita come nel cuore della pittura; sapersi in un destino. E sorprende l'improvvisa reticenza correttoria del finale: «volevo forse dire il contrario, ma è lo stesso, e va avanti». Sembrerebbe un appunto di ripristino della logica. E non è così. Il pittore sa benissimo che è la vita a tenere per mano l'arte, almeno quanto sa perfettamente che tale verità possa essere intuita solo nel gesto mitico di Perseo, in sé moderno e nietzschiano, quando si diventa chi si è da sempre. Nel ragionamento si fanno chiari i termini dei prossimi capolavori: per esempio, le fondamentali «impronte» (1957), quella novità pittorica e insieme astratta nata a Procida, secondo la leggenda, sì dalla magia del caso (il vento estivo che scompiglia fogli e colori) ma che pure è concepita nell'unità della pittura con l'esistenza.
Siamo ancora nel 1954: «Solo con il caldo, il caldo nel nostro corpo, si può ottenere di dipingere, di andare avanti. Ma quel caldo deve nascere dalla mente e dalla morte, deve esser calore di libertà, assolutezza morale, ragione profonda dell'essere». E uno snodo concettuale del fare pittura. In Scialoja l'espressionismo, se davvero è, significa odio a ogni odio, vuol dire la forza di un corpo pittorico e umano che è tutto spirito. Il calore è chiarezza, esprime una prova di libertà su cui costruire la certezza che l'arte sia sempre senso, appello, notizia e mai allusione o peggio irrealtà. L'astrattismo poi, se veramente è, risulta un esercizio di vita che si aggiunge alla vita e solo nella sua acme compiuta, ciò che non rinvia a nulla se non all'arte che è la profonda risposta di esistenza.
Nel luglio 1956 viene annotato: «Ogni segno è anche un'incisione, nella polpa del mondo, e tutta la realtà (la densità, l'interezza, la luce, la purezza della realtà) a poco a poco - se il segno nacque da una ragione, da un'emozione umana - finirà col passarvi attraverso (franarvi, espandervisi). L'intera sostanza impalpabile della realtà passerà dalla nostra parte, prenderà forma, diverrà forma attraverso le fessure di quei segni ignoti al principio, nati da soprassalti, da presentimenti; nati da un oscuro calore, da una segreta brama di congiungimento». Dunque, la realtà è una polpa di cose e di principi, qualcosa che è tutto e che si fa parte viva del corpo e dell'anima, cioè che si fa individuo, individualità, appunto pittura, nella solita prospettiva, la più cara a Scialoja, quella splendida imprevedibilità di grazia che non distrugge bensì commuove e realizza la «segreta brama di congiungimento», ciò che è davvero l'unità del senso dell'arte.
Il Giornale di pittura è un romanzo di idee, va letto lungo il suo moto sussultorio. È un documento eccezionale della vita artistica romana, con lotte e innamoramenti. Spiega il valore dei soggiorni a Parigi e in America (tra il 1955 e il 1965), le origini dell'«arrivo» degli americani a Roma, l'intenso rapporto con Mark Rothko, Willem de Kooning, Robert Motherwell e Burri, la formidabile versatilità dell'arte di Scialoja, quel suo lavoro di scenografo per il teatro di scrittori, musicisti, registi e coreografi d'avanguardia (i balletti Marsia di Luigi Dallapiccola, 1948, I1 principe di legno di Béla Bartók 1950; il Traumdeutung di Edoardo Sanguineti,1964), così come spiega la fanatica vocazione poetica giocosa dei suoi mitici nonsense (Amato topino caro, 1971; Scarse serpi, 1983; Le sillabe della Sibilla, 1988; I violini del diluvio, 1991), esaltata dai più grandi scrittori della nostra epoca (Calvino, Manganelli, Arbasino, Raboni) e infine ciò che sarà l'impegno di Scialoja in quanto docente e direttore dell'Accademia di Belle arti di Roma (con allievi quali Kounellis, Pascali, Nunzio, Dessì). Il Giornale di pittura è una visione potente di contemporaneità: è il taccuino gioioso e drammatico di uno dei protagonisti del Novecento italiano.