Una nuova traduzione
dell'«Amleto» di Shakespeare è
uscita da
pochi mesi. E adesso
Sergio Perosa, all'alba
dei novant'anni (è nato
nel novembre 1933) si sta dedicando
a tradurre I "Sonetti"
del Bardo. Non si ferma mai, da
quando è andato in pensione da
Ca' Foscari, nel 2003, il suo lavoro
di traduttore si è intensificato.
Tradurre "Amleto" gli ha richiesto
quasi tre anni di lavoro;
sono quattromila versi, pubblicati
da Quodlibet, sia in inglese.
sia in italiano. 488 pagine, 180
delle quali di
commento.
L'OPERA
«La tragedia di Amleto è molto
diversa da quella che in genere
si legge: lunga com'è, è quasi
sempre tagliata e le riduzioni ne
favoriscono interpretazioni parziali
», scrive la scheda della casa
editrice. «Questa nuova versione
di Sergio Perosa con testo
a fronte è completa, manti ene la
distinzione fra versi e prosa, e
mira a rispettare gli aspetti fonici,
la complessità immaginativa
e m etaforica, la compressione e
tensione del linguaggio di Shakespeare,
che ha registri e toni
diversificati per i vari personaggi,
badando anche in italiano
non solo al significato, ma al significante:
allitterazioni, assonanze,
richiami interni, rime».
Spiega Perosa: «"Arnleto" è il
decimo dramma di Shakespeare
che traduco. L'ho lasciato per
ultimo per le varie difficoltà e la
lunghezza. L'ho tradotto mantenendo
l'aderenza all'originale
verso per verso. Non è in endecasillabi,
come in genere viene
reso nelle versioni italiane, ma
ho usato versi di dodici o qualtordici
sillabe, oltre a qualche
endecasdlabo. Io mantengo il
numero delle righe, con il testo
italiano a fronte che corrisponde
riga per riga all'originale. C'è
una grande complessità di resa
del linguaggio. Shakespeare
scriveva in un'epoca in cui l'inglese
era ancora una lingua in
formazione e quindi usava parole
che possono avere due/tre significati,
bisogna decidere quale
significato scegliere, o anche
usarli tutti e tre, in contesti diversi.
La sua è una lingua concreta,
diretta, effettuale, ricchissima
di metafore prese dalla cavalleria,
dai legulei, dalla medicina,
ha una grandissima capacità
di esprimere tutti gli aspetti
umani, non ce n'è uno che non
sia rappresentato. 11 francese
Racine usa duemila parole, l'inglese
Shakespeare ne userà ventimila
e per di più crea nuove parole
che compaiono con lui e
che nessuno usava prima di lui,
ed è un problema capire perché
usasse proprio quella
parola».
Ma le traduzioni precedenti
com'erano?
«Ce ne sono di belle», osserva
Perosa, «ma usano gli endecasillabi.
altre invece sono in prosa:
servono per gli studenti, ma sarebbe
un po' come tradurre la
"Divina Commedia" in prosa.
Sia ben chiaro: se il traduttore
raggiunge il cinque per cento di
somiglianza con l'originale, è
bravissimo. Ma quel cinque per
cento deve raggiungerlo. Il nome
Amleto un tempo indicava
lo scemo del villaggio. Quindi il
protagonista fa il pazzo, utilizza
allusioni sporche, allusioni sessuali,
a ogni frase bisogna chiedersi
se quel che dice sia vero o
se faccia finta. I soliloqui, invece,
non sono da diciottenne scapestrato,
ma da persona sofisticata,
in contrasto con tutte le
parti in cui fa io scemo. Amleto
manifesta una doppia personalità,
Si è persa la varietà. Tutti lo
traducono come se i personaggi
parlassero nella stessa maniera.
Invece tutti parlavano in modo
diverso. Amleto è un nobile
tronfio, ma in altre occasioni si
esprime in modo volgare e come
fosse uno scemo, Polonio è
servile e si impiccia di cose delle
quali non dovrebbe e finisce ammazzato,
la regina parla in un
modo, Ofelia in un altro. Un pochino
si riesce a rendere le differenze.
Invece ci sono traduttori
che l'anno parlare i becchini come
Amleto. I becchini parlano
come i servi, per portarlo dalle
nostre parti sarebbe come il veneto
più becero della campagna
ottocentesca. Sono in contrasto
con Amleto, ma hanno la saggezza
popolare, anche loro hanno
qualcosa da dire».
L'AUTORE FECONDO
La difficoltà di Shakespeare è
che si tratta di una persona di
cui non sappiamo
assolutamente nulla.
«Sappiamo che si
è sposato - racconta
Perosa - e che faceva
l'attore a Londra,
ma non abbiamo
idea di come abbia
fatto a scrivere 36
drammi e 154 sonetti.
Sappiamo che
era omosessuale, i
sonetti ci indicano
che lo fosse, nei
drammi ce l'ha con le donne,
ma le frequentava e le conosceva,
visto che era anche sposato.
Aveva un protettore e corte. che
forse era il suo amante. Ci sono
sette/otto candidati che potrebbero
essere Shakespeare, ma
ognuno suscita qualche perplessità.
Per esempio qualcuno sostiene
che potrebbe essere Francesco
Baccine, ma come si fa a
pensare che un filosofo e giurista,
impegnato a corte, possa
aver scritto trentasei drammi?
».
Non sappiamo chi fosse, ma
sappiamo chi non era; il siciliano
Crollalanza (traduzione letterale
di Shakespeare), come talvolta
viene leggendariamente
detto, «Di sicuro non è mai venuto
a Venezia», aggiunge Sergio
Perosa, «ma la conosceva benissimo.
Venezia in quel tempo
era come per noi New York, un
faro di civiltà, la città più bella
della cultura del tempo. Shakespeare
ne era attratto e la rappresenta
in ottima maniera, è
uno dei migliori a scrivente. Restano
però questioni irrisolte:
come mai non nomina San Marco?
E angosciante non sapere
chi fosse e perché scrivesse o
non scrivesse determinate cose».
IL CASO SHYLOCK
Poi, c'è la questione dell'antisemitismo,
nella figura di Shylock,
l'usuraio ebreo assetato di
sangue (il pegno per il prestito
accordato al mercante di Venezia,
Bassanio, è una libbra di
carne del suo corpo) è stata vista
la raffigurazione più beeera
del eliche antiebraico. Ma il monologo
di Shylock («non ha forse
occhi un ebreo? Non ha mani,
organi, membra, sensi, affetti
e p assioni?») costituisce un inno
all'uguaglianza tra gli esseri
umani. «Tutta l'epoca era antisemita
», precisa Perosa, «così
come era misogina. Ma Shakespeare
è l'unico a ostentare
comprensione per l'ebreo. Shylock
è mostrato come un personaggio
calpestato, ma anche lui,
esattamente come Amleto, è
crudele e pronto a uccidere. La
risposta quindi è duplice, Shakespeare
era antisemita, come lo
era tutta la sua epoca, ma nessuno
più di lui è riuscito a descrivere
un ebreo, lo ha tratteggiato
come una vittima della società,
cosa che nessun altro drammaturgo
dell'epoca è riuscito a fare».
Sergio Perosa ha donato la
sua biblioteca di ventimila volumi
alla Fondazione Cassarn arca.
Giovedì 15 marzo, nella trevisana
ca' dei Carraresi, alle ore
14.30, ci sarà una tavola rotonda
sui sonetti di Shakespeare alla
quale parteciperanno, oltre a
Perosa. Flavio Gregori, Dario
Calimani e Lucia Folena. Alle 17
ci sarà l'inaugurazione della biblioteca
donata alla presenza di
Luca Zaia, presidente della Regione
del Veneto, e sarà annunciata
l'istituzione del premio
biennale intitolato a Sergio Perosa.