Recensioni / Le banlieues, tre anni dopo. Un libro indaga sui risvolti della sua sommossa.

E' La discriminazione negativa, di Robert Castel. Il volume fa luce sulla realtà multietnica della società francese. I giovani visti non come responsabili dell'insicurezza civile, ma vittime di una congiuntura storica e sociale

A tre anni dalla rivolta delle banlieues parigine esce per Quodlibet il libro “La discriminazione negativa”, di Robert Castel, preside dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi.
Indagando i risvolti storici e sociologici di un sommossa inaspettata ed apparentemente insensata, il libro fa luce sulla realtà multietnica e controversa della società francese.
La discriminazione di una minoranza si basa sul riconoscimento di differenze legittime, fondate ad esempio sull’ereditarietà. L’autore specifica che vi è una discriminazione “positiva”, costituita da tutte quelle politiche che mirano ad integrare le minoranze nel quadro nazionale colmando un deficit di risorse e riducendo le differenze. Esiste quindi una discriminazione “negativa”, che è quella che il volume prende in analisi, soffermandosi in particolare sul caso delle banlieues, che riguarda tutti i casi in cui l’alterità diventa fattore di esclusione.

L’ondata di violenza esplosa nelle periferie parigine nel 2005, apparentemente immotivata, priva di rivendicazioni o di leaders, carente di una qualsiasi proposta programmatica, emerge da questo testo sotto un profilo sociologico che mette in luce un percorso storico ed un contesto sociale specifici.
Nate come nuovi siti residenziali dopo la seconda guerra mondiale, frutto di una concezione di urbanistica funzionale, hanno subito negli anni un aumento della promiscuità sociale dovuto al cambiamento delle politiche immigratorie ed un parallelo impoverimento, legato alla crescita della disoccupazione. Diventano quindi ZUS, Zone Urbane Sensibili. Tuttavia Castel mette in guardia il lettore dall’identificare le banlieues con dei ghetti ed i giovani rivoltosi con degli esclusi: i quartieri non sono stati abbandonati ed i giovani rivoltosi delle periferie possedevano in larga maggioranza cittadinanza politica e sociale. Sono giovani di cultura francese che si ispirano a modelli francesi ed aspirano ad una vita “normale”. E’ stato proprio il vedersi preclusa la strada per raggiungere questi obiettivi a scatenare la disperazione. I giovani delle banlieues sono “cittadini, sono inscritti nel territorio francese e nondimeno subiscono un trattamento differenziale che li squalifica”.
Trattamento che l’autore rileva negli interventi della polizia e della giustizia sulla base di una discriminazione etnica, rispetto al lavoro, dato l’alto tasso di disoccupazione, sulla scuola con un forte abbandono scolastico soprattutto da parte dei giovani di origine maghrebina, ed in ultimo nell’aumento, negli ultimi anni, della discriminazione etnico-raziale  dovuta all’ampliamento della questione dell’islamismo (e della parallela islamofobia).

I giovani delle banlieues si sono visti attribuito lo stigma che nell’800 era dei vagabondi, in seguito dei proletari. Lo stigma dell’essere responsabili dell’insicurezza civile e sociale, quando essi in realtà sono stati e sono vittime di una congiuntura storia e sociale.
Castel ricorda al lettore che la Francia, nazione paladina della libertà e dell’eguaglianza, quindi anche della tutela del libero esercizio delle religioni, negli ultimi anni ha adottato due pesi e due misure quando si è trattato di tutelare la religione musulmana.
“E’ quando è negata o disprezzata che la diversità diventa pericolosa”. In una nazione nella quale il 15% della popolazione vivente in Francia non è di origine autoctona, e più della metà di questi ha nazionalità francese, servono misure contro la discriminazione e per la riduzione delle disuguaglianze, serve abbandonare la strada del nazionalismo per quella del cosmopolitismo e far uscire dall’isolamento le minoranze.
“La banlieue non può essere lasciata a se stessa perché vi si giocano sfide che  concernono l’avvenire della società nel suo insieme” e ciò può avvenire solo “ripristinando le condizioni d’esercizio di una piena cittadinanza politica e sociale”.