Recensioni / Attraverso Pasolini

«Ti scrivo solo un magro biglietto», scriveva nel 1961 Pier Paolo all’amico Franco, «per ricordarti che esisto e che soprattutto tu esisti in me». Questo incipit cavalleresco, paradigmatico del rapporto esistente tra Pasolini e Fortini, è stato scelto per la quarta di copertina della nuova edizione di Attraverso Pasolini (Quodlibet, 2022, a cura di Vittorio Celotto e Bernardo De Luca).
«Aveva torto e non avevo ragione», dice Fortini nell’introduzione, accompagnando il lettore lungo un quarantennio, dal 1952 al 1992, per cui Fortini propone, del verbo “attraversare” «un altro e non secondario significato: quello di reciproco intoppo, contraddizione, ostacolo. Non avverso ma di traverso ».
Attraverso Pasolini , pubblicato nel 1993, è l’ultimo libro licenziato dall’autore, diviso in tre sezioni a sé stanti: Verità e poesia; Uno scambio di lettere (1954 – 1966) ; La santità del nulla . Un canzoniere, con lo scambio epistolare a dividere la sezione “in vita” da quella “in morte”, che comincia quando i due ancora non si conoscono, ossia con l’intervento sull’antologia Poesia dialettale del Novecento , di Pasolini e Dell’Arco.
Ma è in occasione dell’uscita di Ragazzi di vita che Fortini confessa di aver saputo apprezzare «l’enorme “importanza” sua». Scrive a questo proposito un articolo per Comunità , parlando di Ragazzi di vita come di «uno di quei libri fatti apposta per le esibizioni critiche; perché sperimentale, intricato, letterario nel miglior senso».
Nel saggio La contraddizione Fortini mette definitivamente a fuoco uno dei punti nevralgici dell’opera di Pasolini, la componente è quelle eponima, la contraddizione, appunto: «Che cosa significa – si chiede – dire che l’ispirazione, il moto primo, di tutto quello che Pasolini scrive si fonda sulla antitesi, su di una contraddizione?», un ingaggio, un contrasto, per il quale «gli si deve riconoscere una “forza di errore” che rende vero, vero di verità poetica, quell’amletismo».
Questo stesso amletismo è poi rinominato da Fortini come «aristocratica libertà di contraddizione» proprio in quel foglio tutto in seconda persona rivolto al vecchio amico ormai rinnegato, contro cui avrebbe dovuto scagliarsi nel 1968 alla tavola rotonda organizzata da «l’Espresso» dopo il famoso scritto, dello stesso anno, in cui Pasolini prendeva le parti della polizia. Fortini scelse di non parlare, avendo comunque scritto e letto poi privatamente all’amico un testo durissimo: «Sei confortato dal Pci e dai preti, sei ormai nella ormai certa Grosse Koalition , nella Santa Alleanza nazionale e internazionale. E sai perché? Perché hai peccato di presunzione». Le lettere rappresentano una sezione patetica nel senso più alto, per come è composto il rapporto tra i due, di grande ammirazione, affettuosi slanci e brucianti dolori, bastino a questo proposito i toni di quella scritta da Pasolini il 31 dicembre 1960: «Tu mi sei sempre presente e magari anche un pochino incombente, lo sai…». O quelli della lettera del 16 giugno, stavolta a firma di Fortini, dove l’autore, ammirato dalla lettura de La religione del mio tempo , scrive «tutti i tuoi errori e vizi (letterari) non contano nulla di fronte a certi tuoi gridi straordinari».
Poi il rapporto si degrada, gli anni sessanta portano via le lucciole e il vento favorevole, le ultime lettere sono meccaniche, riportano in calce i cognomi e si fanno più rade fino a spegnersi del tutto nel 1966, raccontando la cronaca di un’amicizia degradata, come scrive Pasolini: «sembriamo fatti apposta per irritarci e incantarci, contemporaneamente, a vicenda».
La santità del nulla si apre, invece, con la cronaca asciutta e drammatica della morte dell’amico. O meglio con il racconto di un Fortini che riceve la notizia dalla Tv, «nel buio di una casa isolata tra lecci bagnati e pini di autunno», una notizia accolta «senza stupore». Ne scriverà per «il manifesto», tentando di non far troppo rumore, il suo famoso In morte in cui chiosa, chirurgico: «Gli sono stato amico per molti anni; avverso per altri; sempre ho cercato di intenderlo e amarlo».
Dopo la ricca sezione di note e notizie sui testi, curata da Vittorio Celotto, trova spazio la nota critica di Bernardo De Luca, Attraverso Fortini e Pasolini , che ha il merito di introdurre, per questo libro, la formula di «saggio di saggi». De Luca parla di questa seconda famiglia di libri fortiniani (L’ospite ingrato , I cani del Sinai e anche questo Attraverso Pasolini ) come se fosse abitata da «una vitale contraddizione: dove il dettato si fa più individuale, se non addirittura personale», a questo si aggiunga quanto detto da Luca Lenzini, che parla, per Fortini, di una attitudine alla «reinterpretazione senza requie, tendenzialmente infinita, qui e ora, del passato», un lavorio continuo che ha il compito di problematizzare ad infinitum temi cardine suoi e del Comunismo, convinto com’è che questo sia «ben più grande dei partiti che comunisti si chiamano».
Quarant’anni di illusioni e slanci, passati di traverso lo speculum pasoliniano, un «deuteragonista per lo più silenzioso», Pasolini, che infatti non parla nel libro, se non nelle lettere, ma che si mostra comunque, e continuamente, nella diversità delle due posizioni. Sono i modi a essere stati diversi tra i due, perché se entrambi hanno tentato con la loro opera una «critica radicale allo stato delle cose» i binari di questa non sono mai stati incidenti, nemmeno forse ai tempi di Officina , e sicuramente non lo saranno dopo gli anni ’60, quando Pasolini rimarrà impegnato a distruggere modelli e simboli passatisti (con la sua postura “da imputato”) e per come invece Fortini si impegnerà a spostare in un astratto futuro l’alternativa a venire: ’56, ’68 e avanti ancora fino al ’92, quando nella conclusione di questo libro scriverà: «tutto muta e tutto è ancora possibile».