Recensioni / Solmi, insegnamento e impegno politico: con i filosofi

Le lezioni riguardanti alcune delle principali dottrine del pensiero moderno e contemporaneo tenute da Renato Solmi negli anni di insegnamento nelle scuole medie superiori, trascritte da Luca Baranelli e pubblicate a partire dal 2021 in due volumi dall’editore Quodlibet con la cura di Marco Gatto – Lezioni su Kant (pp. 160, e 14,00) e Lezioni di filosofia Da Fichte a Lukács (pp. 256, euro 18,00) –, costituiscono un’importante testimonianza della personalità intellettuale del loro autore. Esse, cioè, danno conto del modo in cui si può assumere l’impegno quotidiano dell’insegnamento ai più giovani e, in maniera indiretta, richiamano il fatto che il lavoro a scuola fu per Solmi non una scelta, ma la conseguenza del suo modo di essere, cioè di un costume critico ed estraneo a riverenze dottrinali e politiche.
Il nome di Renato Solmi è, infatti, inseparabile dalla ricostruzione culturale dell’Italia del secondo dopoguerra, quindi dalla storia della casa editrice Einaudi che di quel periodo fu protagonista decisiva. Sue sono le prime edizioni italiane di due classici del pensiero come Minima moralia di Theodor W. Adorno – che egli ebbe modo di conoscere negli anni cinquanta del Novecento e di frequentarne le lezioni –, pubblicato nel 1954, e Angelus novus di Walter Benjamin uscito nel 1962. Già nel 1963 Solmi però fu licenziato, proprio da Giulio Einaudi, in seguito allo scontro che si determinò intorno alla proposta di pubblicare il volume di Goffredo Fofi L’immigrazione meridionale a Torino, dove la dura critica alla Fiat e al quotidiano «La Stampa» si estendeva ai partiti e ai sindacati di sinistra.
La vicenda editoriale, che portò al rifiuto del volume di Fofi, pubblicato da Feltrinelli nel ’64, vide opporsi all’interno dell’Einaudi una fazione rivoluzionaria-operaista, con in testa Solmi appunto e il fondatore dei Quaderni Rossi, Renato Panzieri, e una fazione conservatrice-censoria, il cui rappresentante per antonomasia era non a caso Delio Cantimori, antifascista dell’ultima ora e, al tempo stesso, vestale dell’ortodossia comunista, quindi inflessibile censore. Cantimori, infatti, aveva già avversato importanti proposte, fra tutte quella di Giorgio Colli relativa alla pubblicazione delle opere postume di Nietzsche. E val la pena ricordare che proprio quella proposta costituì l’embrione del progetto di edizione critica dell’opera del filosofo tedesco, rifiutato da Einaudi, che spinse Luciano Foà a lasciare la casa editrice torinese per fondare nel ’62, insieme a Roberto Bazlen e Roberto Olivetti, l’Adelphi, nata di fatto per accogliere l’edizione critica di Nietzsche, pensata da Colli e realizzata con il contributo decisivo di Mazzino Montinari che, quasi per ironia della sorte, proprio con Cantimori si era laureato.
Anche il caso Fofi lasciò un segno profondo nell’Einaudi o meglio nella sua politica editoriale perché provocò l’espulsione della componente rivoluzionaria – ‘avventurista’ la definì Giulio Einaudi – che vedeva un maestro in Franco Fortini e la vittoria dell’ala ‘conservatrice’, in cui si riconoscevano, fra altri, Norberto Bobbio e Italo Calvino. A essere segnata dalla vicenda Fofi fu però soprattutto l’esistenza di Renato Solmi che, dopo il licenziamento, dovette cominciare a insegnare e nella scuola secondaria di secondo grado rimase fino alla conclusione della sua vita lavorativa, cioè oltre trent’anni, come docente di filosofia e storia nei licei di Torino, fra cui il blasonato D’Azeglio, e di Aosta. In un intervento del 2001 sul mensile «Una città» dal titolo La seconda metà del mio cammino. Note e confessioni di un insegnante, ora pubblicato nel volume Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004 (Quodlibet 2007), Solmi afferma che il lavoro a scuola fu per lui «un ripiego, una seconda scelta», non una vocazione spontanea e del tutto disinteressata, aggiungendo di non essere riuscito a immedesimarsi totalmente e senza riserve nel suo ruolo professionale, pur avendo cercato di assolvere ai suoi doveri nel migliore modo possibile. E di non avere mai superato un senso di inferiorità rispetto ai colleghi, che invece si sentivano del tutto conformi al ruolo dell’insegnante. A questo ‘vizio di origine’ Solmi ricondusse il fatto di avere avvertito nella sua esperienza scolastica la contraddizione fra l’impostazione didattica tradizionale, dalla quale non riuscì di fatto a svincolarsi pur criticandola, e l’impegno politico, cui egli non venne mai meno, partecipando attivamente ai diversi tentativi di riforma scolastica, a partire dal movimento studentesco degli anni sessanta-settanta fino ad arrivare alla ristrutturazione degli organi collegiali, con l’attenzione costante a favorire ogni occasione propizia – da ultimo persino l’ora alternativa alla religione cattolica – per la comunicazione e la partecipazione dirette degli studenti. Una contraddizione che, per altri versi, non può fare a meno di evocare lo scarto e la tensione fra il reale e l’ideale, fra il ruolo professionale e la militanza, vissuti anche come possibilità ironiche che consentono di aderire intimamente all’ideale seppur con la coscienza che esso non ha occasioni nel presente di concretizzarsi e con l’indulgenza, che può assumere persino il tono dell’ammirazione, nei confronti delle manifestazioni a esso contrarie. Le Lezioni su Kant e le Lezioni di filosofia si situano su questo sfondo e da esso sono per certi versi inseparabili, se si considera che recano il segno dell’insegnamento vero e proprio, vale a dire della mediazione fra la conoscenza profonda delle diverse dottrine dei filosofi presi in esame e la necessità di renderle comprensibili a giovani donne e uomini. Una necessità, quella della chiarezza, che rifugge la semplificazione e non teme l’interpretazione personale, che l’esercizio filosofico pretende per natura. Interessante a tal proposito è che nel dattiloscritto originale le lezioni su Kant fossero accompagnate da due schemi riepilogativi, che purtroppo non stati pubblicati con la motivazione, davvero incomprensibile, che essi non aggiungevano nulla ai contenuti trattati. I due volumi di lezioni affrontano dunque le dottrine di Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Feuerbach, Kierkegaard, Marx, Nietzsche, Croce, Lukács organizzate, come è in uso da sempre nella scuola, in modo monografico e sulla base dell’ordine cronologico. Il segno distintivo di Solmi lo si può vedere sia nel costante riferimento, diretto e indiretto, alle opere filosofiche sia, in particolare, nella scelta di trattare le dottrine di Croce e del Lukács de La distruzione della ragione, espressive dell’intreccio decisivo e problematico fra speculazione filosofica, storia e impegno politico. Se Croce, da un lato, ha rappresentato la paradossale conciliazione fra la fedeltà «alla sua concezione storicistica e fondamentalmente conservatrice dell’evoluzione sociale e intellettuale dell’umanità», che privilegia l’adattamento rispetto alla rottura rivoluzionaria, e il rifiuto «sempre più netto opposto al fascismo e al suo regime» in nome della libertà, dall’altro lato, Lukács ha messo in luce il rapporto fra la ragione dialettica e il cosiddetto irrazionalismo riconducendo le origini del nazionalsocialismo alle correnti della filosofia europea, in particolare tedesca, «che esaltano il ruolo dell’intuizione a scapito di quello della conoscenza razionale» e che hanno favorito la reazione sociale e politica in Europa a partire dalla metà dell’Ottocento.
Da questa deriva filosofica si salva significativamente la linea di pensiero che da Kant arriva a Marx passando attraverso Hegel e Feuerbach, e che dà conto della tensione dialettica fra soggettività e oggettività, di cui Solmi è fine studioso e attento osservatore, destinata, nella prospettiva di Lukács, a ispirare la rivoluzione nel mondo occidentale.