Ancora un libro sulla filosofia italiana, nel segno di un successo sempre più
forte che il nostro pensiero sta riscuotendo all’estero, in questi ultimi anni.
La tradizione filosofica italiana. Quattro paradigmi interpretativi di Corrado
Claverini è un saggio che – per le questioni esposte nonché per l’accuratezza
con cui esse vengono presentate (e, a tale proposito, vale certamente la pena di
ricordare anche il profondo apparato di note e la ricca bibliografia) – occupa un
posto centrale in quella, ormai assai nota e ripetutamente trattata, vicenda del
“problematico” ripensamento della nostra filosofia.
Si può parlare di una filosofia italiana? È legittimo – come giustamente si chiede
l’Autore nell’importante Introduzione – farlo, “oppure la filosofia, in quanto
tale, è apolide e non è determinata da fattori di tipo territoriale” (p. 7)? E, in caso
affermativo, quali sarebbero i suoi caratteri distintivi da altri tipi di pensiero,
quale sarebbe la sua “essenza”?
È da questi due, non certo secondari, quesiti che prende le mosse la penetrante
analisi di Claverini. Essa si sviluppa, poi, con la considerazione appunto
di quattro paradigmi interpretativi: nell’ordine, Bertrando Spaventa, Giovanni
Gentile, Eugenio Garin e Roberto Esposito.
Nel capitolo dal titolo Bertrando Spaventa filosofo militante, Claverini si sofferma
attentamente sul filosofo abruzzese, “il primo vero storico della filosofia
italiana” (p. 30), che – con la sua teoria della “circolazione europea del pensiero
italiano” – ha individuato nei pensatori rinascimentali e post/rinascimentali i precorritori
di quelli che poi saranno i più grandi successi della filosofia moderna.
Bruno, Campanella, Telesio, Vico – con le loro teorie – anticipano i “moderni”
Cartesio, Spinoza, Bacone, Locke e Kant. È, pertanto, l’“ingegno precursore” il
tratto peculiare, per Spaventa, della filosofia italiana e – come si evince dalle sue
Lezioni (giustamente ricordate dall’Autore) – “lo studio e la comprensione della
tradizione filosofica italiana del passato non sono fini a loro stessi” (p. 48).
Sulla linea di Spaventa (ma anche cercando di ovviare alle sue mancanze),
si posiziona Giovanni Gentile (a cui è dedicato il lungo e approfondito capitolo
Giovanni Gentile storico della filosofia italiana). Con il filosofo siciliano –
come acutamente rileva Claverini – si ha un vero e proprio secondo paradigma
interpretativo: egli individua, nella tradizione filosofica italiana, un processo di graduale immanentizzazione, ove tutto è ricondotto ad unità (essere e pensiero,
soggetto e oggetto). In tal modo, per Gentile, “la tradizione italiana è condizione
e principio di nuova vita speculativa” (p. 85): siamo, seppure alla lontana, innanzi
ai prodromi di quel pensiero “concreto” (o anche “vivente”) tipico dell’Italian
Thought (p. 68).
Ma è davvero la logica che guida la storia o, viceversa, è la storia che determina
il pensiero? È una domanda che occorre farsi nel momento in cui ci troviamo
di fronte il terzo filosofo su cui Claverini riflette: Eugenio Garin (e il titolo del
capitolo a lui dedicato, Eugenio Garin: il ritorno alla storia, è già emblematico).
Accusando Gentile di teleologismo (dal momento che l’impianto idealistico
del suo sistema domina la storia del pensiero), Garin restituisce “alla storia la sua
storicità” (p. 13). È impossibile, per lui, infatti ridurre la filosofia italiana ad un
solo carattere (al massimo, puoi riconoscerne determinate costanti), data la sua
grande complessità: essa ha interessi “mondani” (rivolgendosi alla politica, alla
morale), è policroma, e, anche per questo motivo, è caratterizzata da un timbro
prettamente tragico.
L’ultimo paradigma interpretativo esaminato in modo assai analitico dall’Autore
è quello di Roberto Esposito, il cui successo si è avuto nel 2010 con il volume
Pensiero vivente. Al filosofo napoletano è dedicato il capitolo dal titolo Roberto
Esposito e l’Italian Thought.
Il merito di Esposito è stato sicuramente quello di aver deterritorializzato il
pensiero italiano, dal momento che “il carattere non nazionale” lo ha contraddistinto
«sin dalla Scolastica e dal Rinascimento» (p. 107).
Egli ha individuato la peculiarità della filosofia italiana in un’esperienza della
vita imperniata sulla sfera pratico-politica e, quindi, pensata nei suoi aspetti contingenti
e mutevoli, mai determinati una volta per tutte.
Tuttavia, Claverini lucidamente evidenzia – sempre con grande perizia – anche
le questioni che l’Italian Thought lascia aperte (p. 114): ad esempio, l’uso e non
l’interpretazione che, all’interno di esso, si fa dei pensatori, sebbene Esposito –
come sottolinea l’Autore – porti avanti un’analisi diacronica del pensiero italiano.
Detto questo, egli, nelle Conclusioni, è convinto che la diffusione dell’Italian
Thought rappresenti il “primo passo” per il rilancio della tradizione filosofica
italiana (p. 126).
Pertanto, Claverini, dei quattro paradigmi discussi nel libro, ci restituisce una
visione dettagliata e completa nonché “dinamica” (in quanto egli cerca di delineare
la ricaduta operativa e funzionale che la tradizione filosofica italiana può avere
nell’attualità), esaminandone i punti di forza, ma – al contempo – pure i limiti.
Un’analisi di questo tipo – e questo è un merito assai grande del volume –
dissemina domande alle quali cercare di dare una risposta è estremamente importante:
ad esempio, se hanno ancora un valore le tradizioni e se vale la pena
continuare a parlare di nazionalità. Magari con l’intento, nemmeno tanto celato,
di individuare “una terza via alternativa tanto al nazionalismo quanto al globalismo”
(p. 15). La chiave per tracciarla è – come chiaramente ci indica l’Autore –
rappresentata dall’interdisciplinarità (affiancata da un approccio comparatistico che tenga conto delle altre tradizioni europee e non europee e che sia capace
di salvaguardare le differenze culturali): è necessario cercare di “dare risalto ai
molteplici aspetti di quella che abbiamo più volte chiamato la ‘differenza italiana’
(p. 132). Quest’ultima, secondo Claverini, «"sta assumendo una fisionomia
sempre più chiara e precisa. Innanzitutto vi è un costante intreccio di filosofia e
letteratura […] Non solo. L’idea di concretezza storica e di rinascita sempre possibile
è ciò che caratterizza il nostro patrimonio culturale […] Infine, è possibile
indicare un ulteriore carattere distintivo […] il primato della ragion pratica su
quella teoretica” (p. 131).
Tutte tesi su cui è necessario riflettere, per la loro profonda significatività. Ed
il saggio di Claverini, da questo punto di vista, costituisce davvero un assai solido
e qualitativamente notevole strumento.