Recensioni / Santo e inondano con salti repentini

Nel rammemorare l'esordio della loro amicizia, Io scrittore Sergej Aksakov rileva che Gogol appariva circonfuso da una aura di ucraino malizioso capace di trasformare in arte la vis comica, collocandola nella sconfinatezza di uno spazio artistico trasfigurato da una sorta di fantasia stregonesca e ammaliatrice. In Veglie alla fattoria di Dikan'ka (1831-32), Gogol' aveva tentato di raffigurare, sulla scia del realismo grottesco ucraino, l'Ucraina come la culla della nazionalità slava, come ama sorta di forziere poetico che custodiva il sogno di un festoso paradiso perduto. Gogol' raffigurava l'Ucraina come l'arca nella quale erano preservati i tratti più vivi della fisionomia slava: i russi e gli ucraini avevano una storia diversa e una cultura separata che dovevano trovare una forma di coesistenza, senza che minacciosamente la possente vastità della Russia potesse fagocitare il passato poetico e storico del popolo ucraino.
L'immagine di Gogol' emerge dall'abisso della riviviscenza di amici e conoscenti con la sua fisionomia fantasmagorica e cangiante capace di transitare istantaneamente dalla insocievolezza alla sfrenata allegria, dalla rapacità mondana alla santità mistica. Gogol' aspirava a diventare un attore proteiforme adatto a recitare qualsiasi parte componendo una sorta di polifonica poesia in azione: egli considerava le persone unilaterali e fanatiche come una piaga per la società, in quanto convinte che il mondo viva nella menzogna e che solo loro possiedono la verità. Pavel Annenkov, protagonista della scena letteraria russa del XIX secolo e autore di ragguardevoli libri di memorie sulla vita dell'intelligencija, descrive Gogol' vestito con qualche capo fantasmagorico ideato da lui stesso e nobile e geniale come gli artisti italiani del XVI secolo. Nell'estate del 1841, Annenkov aveva condiviso un appartamento a Roma con Gogol' e aveva assistito al miracolo della stesura di Le anime morte (1842). Per festeggiare la composizione delle parti più riuscire del suo romanzo-poema, Gogol', in un vicoletto solitario a sinistra di palazzo Barherini, aveva iniziato a cantare una canzone ucraina scollacciata e si era messo a ballare, facendo volteggiare un ombrello con alcune piroette. In tal modo, Gogol' esprimeva il suo appagamento artistico, festeggiando la pace raggiunta con sé stesso.
Poeta delle fantasmagorie e delle diaboliche seduzioni di Pietro burgo, Gogol' contrapponeva Roma a Parigi, quale capitale del XIX secolo. Mentre Parigi si presentava come la città frontespizio di un effimero ed insensato vaudeville politico-culturale che era degenerato in un noioso e inconcludente vaniloquio ideologico, Roma conservava in sé un'idea colossale, maestosa e sacra. Roma dispensava continui stupori e sorprese e dappertutto si potevano ravvisare le tracce lasciate da artisti-titani che dall'antichità fino all'età moderna avevano prodotto una prodigiosa fusione in un tutto unico che aveva le stigmate dell'eternità.
Gogol' aspirava a scrivere una sorta di odissea che contrapponesse la grandiosità dell'antichità alla perfezione artificiale della civiltà secolarizzata e della cultura moderna, Nabokov ha definito l'opera di Gogol' "apoteosi di una maschera" che ha scelto come musa preferita l'assurdo, quale caos di finzioni scaturito da un turbinio carnevalesco: l'umano troppo umano di Gogol' non vive un'esistenza autentica, ma appare come una parodia marionettistica del ridicolo incarnato: in un mondo dove tutto ridicolo, il riso carnevalesco di Gogol', per Bachtin, crea una sorta di catarsi della trivialità. Pudkin era affascinato dal talento di Gogol' nel raffigurare la volgarità (poslost) che, invece di essere dileggiata, è diventata una parte essenziale dello spirito, delle tradizioni e dell'atmosfera generale della civiltà moderna. La poslost è la trivialità compiaciuta di sé che può assumere connotati violenti e distruttivi, raffigurati da Gogol' nei racconti di Mirgorod, fittizia patria di revisori impostori, simulacro hoffìnanniano della identità ucraina rappresentato dal Vij, un mostro dal volto di ferro che uccide con lo sguardo, quale metafora dell'orrore metafisico suscitato dalle macchinazioni segrete della Russia di Nicola 1. Dopo l'assurda morte di Puskin in duello. Gogol' si ammalò nello spirito e nel corpo e si smarri in un labirinto inestricabile di riflessioni mistico-patriottiche considerate oscurantiste, anche se nella corrispondenza con gli amici l'unico personaggio nobile e onesto resta il riso, quale ironico olnaggio della trivialità imperante. Come testimonia Anna Politkovskaja, giornalista russa uccisa nel 2006, con Putin è riapparso lo spettro dell'oscuro travet Akakij Akakievic protagonista del Cappotto. Nel XXI secolo, i nuovi russi guidati da Akakij Akakievii1 II sono accecati dal sole ingannatore dell'appropriazione indebita e del sogno di riconquista imperiale e sul Ponte Kalinkin a Pietroburgo si torna a parlare di cappotti rubati.