Basterebbe leggere i titoli dei libri di poesie di Toti Scialoja per immaginare un folletto bislacco che si aggira, metà poeta metà pittore, nella cultura italiana del '900. Si va da Amato topino caro a I violini del diluvio, da Scarse serpi a Versi del senso perso. Italo Calvino leggeva le poesie di Scialoja alla figlia, per farla addormentare. Giovanni Raboni lo definiva "il talento poetico più originale e compiuto rivelatosi in Italia nel corso degli anni Settanta e Ottanta". Lo stesso Manganelli aveva a cuore i suoi quadri e i suoi versi. E' dunque una fortuna oggi avere tra le mani il suo Giornale di pittura, redatto tra il 1954 e il 1964 e pubblicato per la prima volta in maniera integrale da Quodlibet. Questa edizione, affidata dalla Fondazione Toti Scialoja e Gabriella Drudi ai curatori Maria De Vivo, Laura Iamurri, Onofrio Nuzzolese, Angelandreina Rorro, è una delle più belle enciclopedie sentimentali di un'epoca. Il diario di Scialoja è il frutto di una consapevolezza artistica ed estetica che ha come nocciolo la sperimentazione su se stessi, sul metodo, sulla visione di un mondo che prima di essere tale è espresso in lettere e colori. "Per la prima volta", scrive, "sentivo di non perdere un filo che restava nella mia mano", parla di "esperienze probabilmente elementari, affrontate come scoperte" oppure di un "rinnovato tentativo di portare alla luce di un proprio metro i pensieri anche più semplici". E' per questo che la lingua attraverso la quale Toti Scialoja parla è concentrica, poetica, pittorica, espressionista, liquida e allo stesso tempo ben strutturata, sfrutta lo spazio ideale di un'epoca per travalicare un secolo intero. Ogni esperienza si fa cronaca e racconto, si passa dai soggiorni a New York a quelli a Parigi, dall'influenza di Procida - isola della quale è originario - all'esperienza di studio a Roma e alle frequentazioni di personaggi iconici come Arbasino, Kounellis, Pascali, Rothko e tanti altri. La suggestione iniziale di leggere questo diario come fosse un romanzo è del tutto possibile dal momento che l'esperienza artistica di Scialoja "è una cartasuga luminosa che assorbe da luoghi invisibili i succhi della vita e li espande alla vista". La sua memoria è una memoria filologica. Scialoja non fa segreto del fatto che sì, quello che gli permette di dipingere è una "grande voglia che viene dal profondo, che sembra appartenere al sangue", ma allo stesso tempo non è che il riaffiorare continuo di un ricordo di un luogo lontano, di un colore rubato anni fa a un sogno. "L'intera sostanza impalpabile della realtà passerà dalla nostra parte", scrive l'autore, e continua: "prenderà forma, diverrà forma attraverso le fessure di quei segni ignoti al principio, nati da soprassalti, da presentimenti; nati da un oscuro calore, da una segreta brama di congiungimento".